Nel piano del Papa per la lotta contro gli abusi un punto cruciale è la prevenzione. E in questi giorni al summit anti-pedofilia in Vaticano si discute anche di regole sui seminaristi, «programmi di formazione per consolidare la loro maturità umana, spirituale e psicosessuale», come pure «le loro relazioni interpersonali».

Ne abbiamo parlato con il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, dunque il responsabile dei seminari di tutto il mondo.

Eminenza, quali sono le sue aspettative e speranze sul summit?

«Dal punto di vista della Congregazione per il Clero, l’auspicio principale dopo i lavori di questi giorni è che ci sia un rinnovato interesse di tutta la comunità ecclesiale – pastori e fedeli laici – per la formazione iniziale in Seminario, in modo da garantire per il futuro una più efficace prevenzione contro il rischio di abusi tramite una migliore selezione dei candidati al sacerdozio.

Occorre comunque non farsi trascinare dai toni “apocalittici” di quanti pretenderebbero di “rivoluzionare” l’intero sistema della formazione in Seminario. A mio avviso, si tratta di farlo funzionare meglio, con la nomina da parte dei Vescovi di formatori preparati e pienamente dedicati a tale ministero, capaci, in un contesto di quotidiana vita comunitaria, di cogliere in un seminarista “stranezze” o “segni” che potrebbero indicare una affettività immatura, problematica o anche veri e propri “vizi”, o forme patologiche, così da poter intervenire tempestivamente con gli interventi stimati necessari per ogni caso (dimissione, percorsi alternativi, supporto specifico, etc.). 

In tale senso, quindi, è essenziale che si eviti la formazione “fai-da-te”, in Seminari con numeri troppo esigui (si potrebbe dire “quattro amici al bar”, più che una vera comunità), o addirittura nelle parrocchie, dovendosi preferire i Seminari interdiocesani, per la possibilità di una vita comunitaria con numeri adeguati e con formatori all’altezza del loro compito».

 

Nella sfida della prevenzione, si avverte la necessità di norme «riguardanti i seminaristi e i candidati al sacerdozio», come ha scritto il Papa nei 21 spunti di riflessione, con «programmi di formazione per consolidare la loro maturità umana, spirituale e psicosessuale»: Lei che cosa ne pensa? Quali bisogni urgenti avverte nel mondo dei seminari?
«Le norme e le linee formative di riferimento sono quelle della Ratio fundamentalis del 2016, un testo base per orientare le Conferenze Episcopali nella redazione della loro Ratio Nationalis; altre materie – come, ad esempio, i nuovi accessi in Seminario dopo una precedente uscita, o dimissione da esso – sono affidate dal Codice di Diritto Canonico alla valutazione e alla produzione normativa delle stesse Conferenze Episcopali.  

Circa i “programmi di formazione”, in una visione integrale di essa, la dimensione umana deve avere oggi una attenzione prioritaria, in considerazione dei contesti famigliari e sociali da cui in non pochi casi proviene il giovane candidato. 

La cura in special modo della formazione umana nel corso degli anni di Seminario costituisce una “palestra” in cui il seminarista, accompagnato dai formatori, si cimenta con la propria persona, scoprendo punti di forza, ma anche trovandosi di fronte a debolezze e precarietà; ciascuno è chiamato a un dialogo con il proprio passato e il proprio presente, per aiutare il seme della vocazione a crescere e, in prospettiva futura, gettare solide fondamenta per il ministero sacerdotale. Infatti, in Seminario si vive una prova della personalità, che permette al seminarista di prepararsi a una missione che lo impegnerà per tutta la vita.

In modo particolare, nell’ambito affettivo, occorrerà presentare sempre più e meglio il celibato nel suo valore relazionale e nella sua positività, aiutando i seminaristi a comprenderlo, interiorizzarlo e viverlo già prima di giungere all’ordinazione. 

Il tema del celibato, mi sembra, dovrebbe essere uno dei principali “capitoli” nell’ambito della direzione spirituale negli anni del Seminario; esso costituisce un vero “banco di prova” della tenuta spirituale di un giovane, in quanto un celibato serenamente vissuto produce stabilità emozionale, disciplina personale e un perseverante amore alla propria vocazione. Giova ricordare che, in passato, la stessa Congregazione dei Seminari richiedeva ai direttori spirituali un tempo comprovato di precisa osservanza della castità personale, indicandolo come un requisito indispensabile per quella “tenuta” successiva all’ordinazione che è imposta dalla promessa formale di celibato. Di fatto, invece, oggi in vari casi la direzione spirituale prescinde dal trattare queste tematiche affettive e di castità personale, rinunciando quindi a quell’esercizio di fedeltà alla continenza e, di fatto, alla propria vocazione, che conducono poi a sviluppare una vera paternità spirituale.

In sintesi, quindi, riterrei di poter considerare “bisogni urgenti” per i Seminari la presenza di vere comunità, accompagnate da formatori preparati e disponibili, in cui la vita comunitaria abitui alla relazione e al servizio reciproco, e la direzione spirituale sappia guidare i giovani verso la maturità umana e vocazionale della conformazione a Cristo». 

Si parla anche di una «valutazione psicologica», che per molti potrebbe essere un elemento di svolta positiva: che cosa ne pensa?

«Come ricorda la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis del 2016, per la formazione nei Seminari è importante il contributo di esperti in psicologia/psichiatria che, al bisogno, possano offrire ai formatori elementi tecnici per inquadrare la personalità di un seminarista “strano”, “difficile”, “rigido”, e magari dare un nome scientifico a tale situazione, nell’interesse del candidato stesso e per una più corretta valutazione circa la possibilità che prosegua nel cammino formativo. Ovviamente, non è un test psicologico che decide della vocazione, ma esso può rivelarsi un utile sussidio per una più accurata comprensione della situazione interiore del seminarista, in alcuni casi sino a far emergere le problematiche più profonde.

Più che una “svolta”, quindi, mi sembra che si tratti di uno strumento prezioso per i formatori, per contribuire al discernimento della vocazione e alla crescita umana del seminarista, con in più la possibilità di offrire a chi ne ha bisogno un accompagnamento specifico, un aiuto psicologico per situazioni pregresse non risolte, connesse magari con la famiglia di origine o con eventuali traumi della fanciullezza.

In ogni caso, un sussidio psicologico potrà essere utile al momento dell’ammissione in Seminario e, successivamente, durante gli anni della formazione, quando lo esiga una situazione particolare, soprattutto in prossimità dell’ordinazione». 

Come risponde all’accusa di chi dice che i seminari oggi non preparano i futuri sacerdoti a «stare nel mondo reale»?

«Io direi che oggi i seminaristi conoscono il mondo reale anche troppo bene, avendo vissuto in esso prima di entrare in Seminario, dal momento che spesso si tratta di vocazioni adulte, persone con titoli universitari ed esperienze nel mondo del lavoro, che si preparano al sacerdozio a partire da una maturità e da una visione del mondo diverse rispetto al passato.

Posto in questi termini, quindi, mi sembra un problema non più attuale, fittizio, a meno che non si voglia pensare a giovani che fuggono il mondo e cercano un “porto sicuro” in Seminario, per non confrontarsi con la realtà e non assumere responsabilità. Tali giovani provengono spesso da fallimenti affettivi, o situazioni lavorative incompiute, e vedono nel Seminario un comodo “piano b”; si tratta ovviamente di persone non idonee a ricevere l’ordine sacro, che devono essere aiutate a maturare, per vivere da laici nel mondo la loro appartenenza ecclesiale. 

D’altra parte, è essenziale non fare del Seminario un ambiente chiuso, con dinamiche autoreferenziali e sganciate dalla vita concreta del popolo di Dio. A tal fine, si può profittare, ad esempio, dei tirocini pastorali per mettere i seminaristi a contatto con famiglie e con donne, in modo che possano imparare a relazionarsi non solo in un ambiente tutto maschile, spesso di soli coetanei, o quasi. Le problematiche vissute dalle famiglie e l’esempio da loro offerto costituiranno un arricchimento e una crescita per i seminaristi, mentre la sensibilità femminile potrà aiutarli ad avere uno sguardo più ampio sulla realtà. Per altro, il contatto con persone che vivono al di fuori del Seminario servirà anche a far emergere e a correggere quei tratti di “clericalismo” che potrebbero svilupparsi in un giovane che vivesse la formazione solo con altri preti e seminaristi».

Una versione sintetizzata di questo articolo è stata pubblicata nell'edizione odierna del quotidiano La Stampa

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