Respinge «totalmente» la sentenza e annuncia ricorso in appello per «avere quella giustizia che qui è mancata. Io sono innocente; la sentenza è sbagliata». Quindi, terreo in volto, si allontana da palazzo di Giustizia. È il giorno più nero per Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, ex ministro dell’Agricoltura, ex segretario del Fronte della Gioventù: il tribunale lo ha condannato a 6 anni di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici, 2 anni di divieto di contrattazione con la Pubblica amministrazione, confisca di 298mila euro, più un sequestro di altri 50mila euro perché è in vista un maxi-risarcimento per il Campidoglio e la municipalizzata Ama. Con la condanna di Alemanno per corruzione e finanziamento illecito si chiude il cerchio dell’inchiesta Mafia Capitale.

Sconfitti sono anche i suoi avvocati, Franco Coppi e Pietro Pomanti: «Nel milione di intercettazioni telefoniche e ambientali della maxi-indagine - avevano sostenuto in aula - non ce n’è una in cui si dica che ha preso soldi da sindaco o che è un corrotto o che ha compiuto qualcosa che non avrebbe dovuto fare».

E invece no, il tribunale ha sposato l’impostazione della procura (andando anche oltre la richiesta nelle pene): Alemanno era il «politico di riferimento» della coppia diabolica Carminati&Buzzi. Lui ad aver pilotato le nomine con manager a loro graditi (e a busta paga). Con il suo capogabinetto sempre a disposizione quando chiamava il vecchio amico Carminati.

È rimasto crocifisso, Alemanno, soprattutto dalla seguente intercettazione di Buzzi, del 2013, subito dopo le elezioni amministrative in cui vinse Ignazio Marino: «Se vinceva Alemanno ce l’avevamo tutti comprati. Partivamo FIUUUU (intendendo: a razzo, ndr)... c’amo l’assessore ai lavori pubblici, Tredicine doveva sta’ assessore ai servizi sociali, Cochi andava al verde, Cochi non è comprato però è un amico, Alemanno... che cazzo vuoi di più».

Secondo l’accusa, tra il 2012 e il 2014, Alemanno avrebbe ricevuto oltre 223 mila euro mila euro per compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio. Soldi di Buzzi, in accordo con Carminati, sarebbero stati versati alla sua fondazione Nuova Italia. Nella requisitoria, il pubblico ministero Luca Tescaroli aveva affermato che l’ex primo cittadino, «inserito al vertice del meccanismo corruttivo» avrebbe «esercitato i propri poteri e funzioni illecitamente e curato la raccolta delle correlate indebite utilità, prevalentemente tramite terzi propri fiduciari per schermare la propria persona».

E la politica si divide. Ignazio La Russa, FdI, si dice molto amareggiato: «Lo conosco da quando era ragazzo. Mi riesce difficile credere che faccia abbia fatto politica per interesse personale». Così come un altro vecchio camerata quale Marco Marsilio, neo governatore dell’Abruzzo: «Provo dispiacere e amarezza. Mi auguro che riesca a dimostrare la sua innocenza e estraneità».

I grillini, all’opposto, vedono confermata la loro visione sulla vecchia politica. Commenta Nicola Morra, M5S, presidente dell’Antimafia: «Sentenza che potrà soddisfare tanti e scontentare tanti altri, ma sentenza! Ragioniamo insieme su come e quanto la cosa pubblica sia stata in passato asservita a logiche di Mafia».

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