Nella comunità formata da Gesù vi erano anche Maria e le pie donne. Condividevano il pellegrinare per l’annuncio della buona novella. I Vangeli rivelano la profonda incidenza di quelle persone nella vita del gruppo. La Chiesa nascente manifesta l’inclusività verso ciascuno, anche le donne, i “laici”, come Lazzaro, amico di Gesù. E questo plasmava la sua conformazione e le sue attitudini. Dialogo e condivisione. 

Se nei secoli la comunità cristiana ha corso il rischio di una possibile clericalizzazione ciò può non aver comportato solo un mero dare minore spazio alla donna, ai laici. Ma ne è potuto scaturire un riduttivismo dei carismi. Talora possono deficitare per esempio proprio l’ascolto, il dialogo, la condivisione. In un tale contesto la donna, il laico, non vengono aiutati a sviluppare le loro caratteristiche ma rischiano di venire orientati a cercare nel migliore dei casi spazio in una struttura che si può essere riduttivamente clericalizzata, maschilizzata. Dunque ancor più, in quanto laici e donne, subordinati ai criteri, alle prassi, ripiegati del sistema.

Questa epoca di grazia nuova che germoglia stimola dunque un personale e comunitario mettere vino nuovo in otri rinnovati. Proprio tornando più profondamente al vangelo. Gesù è il vino vecchio e il vino nuovo. Si può, tra l’altro, dare un forte impulso, magari anche proprio istituzionale, all’accoglienza, all’ascolto, al dialogo, alla condivisione. Anche ad opera di laici, di donne, di suore, come guide adeguatamente preparate, scelte tra le persone che hanno maturato una profonda disponibilità ad un continuo rinnovamento, anche dei paradigmi apparentemente più assodati. L’ascolto autentico apre appunto ad un andare insieme oltre. Il vero senso di una tradizione che non finisce per chiudersi in vuoti legalismi e schematismi. La diaconia dell’ascolto, l’aiuto alla condivisione.

La gente, poi, in una cultura astratta si scopre in competizione con i robot che gli rubano il lavoro. Mentre la tecnica potrebbe essere di aiuto ad un più profondo sviluppo dell’umano. Forse lo stesso proliferare tecnologico costringerà a ridurre gli orari di lavoro, dividendoli tra l’altro più equamente tra molti e potrà favorire il sorgere di nuove, pluralistiche, “fontane del villaggio”. Luoghi di incontro umano, culturale, artistico, sportivo, sociale, anche con risvolti operativi rispondenti ai bisogni personali, comunitari, intercomunitari, del territorio. In una nuova comprensione della decisiva, libera, personalissima, maturazione di ciascuno, dell'autentico, integrale, non economicistico, benessere sociale. Tecnicismo che sta invece alienando i soggetti, i gruppi, l’ambiente. Mentre la partecipazione dei popoli può favorire tra l’altro misure per una più equa considerazione del lavoro ovunque nel mondo. Ed anche, per esempio, un diverso potere dei piccoli produttori, dei consumatori.

In un vivere frammentato, isolato, lo stesso ecumenismo può venire ridotto a discussioni variamente astratte o ad un certo valido ma più limitato fare comune. Viene meno la fertile via della vita condivisa, che alimenta in profondità la maturazione di rinnovate spiritualità, sorgenti di visuali, anche di dottrine, più ricche di tante sfumature.

Forse la storia stessa, bisogni umani di ogni tipo, orientano al sorgere di nuove, pluralistiche, “fontane del villaggio” nelle quali si aprono vie feconde in ogni campo. Nelle agorà, nelle piazze, delle antiche città greche si sviluppò una delle civiltà più vive. Mentre il vuoto tecnicismo, la frammentazione, delle astrazioni porta ad un grigio ripetere le stesse cose.

Per esempio nella Chiesa sta germinando una più serena ed equilibrata visione dell’uomo tutto intero, specifico, la via del discernimento integrale, spirituale e psicofisico, dal vivo, a misura. Possono dunque maturare percorsi che tendono a superare le mille scissioni che rendono la persona solo un individuo. Si aprono strade di armonizzazione del cammino di ricerca di ciascuno e anche dell’incontrarsi con quelli altrui. Andando dunque oltre gli schematismi dell’identitarismo rigido, chiuso in sé e di un vago, omologante, sincretismo. Magari con specchietti per le allodole, se non per stanchi occhieggiatori verso élites allo sbando, come quello di una certa educazione civica.

Dunque la nuova “fontana del villaggio” come possibile via di uscita - anche per gli animi sinceri nelle élites - da una sempre più pericolosamente asfissiante, spegnente, teleguidante, deprivante di ogni autentico diritto, dittatura strisciante di un pensiero unico, pseudoscientista, che con sempre maggiore, sistemica, arroganza non ammette repliche. Senza la libera formazione delle persone nelle identità scelte e lo scambio tra esse, senza motivazioni autentiche, si tratterà sempre di élites tecnocratiche, distanti dalla gente, usate essenzialmente per protestare. Ancora non si superano vecchie concezioni dell’egemonia culturale, sbugiardate, circa contenuti ed efficacia, dalla storia.

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