Nella basilica romana di Sant’Apollinare, sette anni fa, alla ricerca di una traccia della cittadina vaticana Emanuela Orlandi, fu controllata invano la tomba del boss della Magliana, Renatino De Pedis. Erano stati ex componenti della banda criminale a richiamare l’attenzione degli inquirenti sul collegamento tra la scomparsa nel 1983 della figlia 15enne di un commesso pontificio e il riciclaggio di denaro sporco allo Ior. Adesso, dentro le mura leonine, ad essere aperto sarà, probabilmente già nei prossimi giorni, il loculo nel cimitero teutonico indicato in una lettera anonima come il luogo della segreta sepoltura della ragazza per la quale Giovanni Paolo II lanciò reiterate richieste di liberazione. La famiglia Orlandi, attraverso il suo legale Laura Sgrò, ha presentato formale istanza al segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, per riaprire la tomba sospetta nel campo santo in Vaticano.

«Posso confermare che la lettera è arrivata e che ora verranno studiate le richieste rivolte nella lettera», afferma il portavoce della Santa Sede, Alessandro Gisotti. «Alcune fonti - si legge nell’istanza depositata dall’avvocato Sgrò il 25 febbraio - riferiscono che più persone da anni sono solite deporre i fiori in segno di pietà nei confronti dell' Orlandi che lì sarebbe seppellita». Quindi, prosegue il legale, «per fugare ogni dubbio sul contenuto, si ritiene opportuno una ricerca negli archivi di ogni documento relativo a tale loculo per individuare chi vi risulti essere stato sepolto». E «in ogni caso si chiede l’apertura della tomba alla presenza della sottoscritta, di un rappresentante della famiglia Orlandi e del nostro consulente tecnico, il dottor Giorgio Portera, affinché possa partecipare alle operazioni con tutte le garanzie necessarie vista la gravità del caso». Appoggiata a una parete del cimitero, ha riportato ieri il Corriere della Sera, c’è la statua di un angelo che tiene un foglio con la scritta in latino “Requiescat in pace” (“Riposa in pace”).

Per terra una lastra con una scritta funeraria dedicata alla principessa Sofia e al principe Gustavo von Hohenlohe che nel 1857 fu nominato arcivescovo da Papa Pio IX. «Pura leggenda», commenta monsignor Gianfranco Girotti, convinto che il loculo non contenga i resti. «Capisco il desiderio dei famigliari di tenere accesi i riflettori su un caso che sconvolge ancora e che ha suscitato scandalo, ma è evidente che si stiano arrampicando sugli specchi», aggiunge il reggente emerito della Penitenzieria Apostolica. Da anni la famiglia Orlandi denuncia opacità e poca trasparenza da parte del Vaticano sulla vicenda. «Tutto quello che poteva essere fatto è stato fatto», assicura Girotti.

«Visto che il Papa ha deciso l’apertura degli archivi per il pontificato di Pio XII nel 2020, facciamo un appello al Pontefice affinché ci dia accesso al fascicolo che riguarda le indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi - sostiene l’avvocato della famiglia -. Ho chiesto di avere accesso al fascicolo già due anni fa, ma né dal cardinale Parolin né da altri è mai arrivata alcuna risposta formale. Francesco faccia chiarezza anche su questa storia, che ha coni d' ombra terribili. Le cose devono essere fatte anche per escluderle». Caso mai chiuso.

Archiviata la storia che lo scorso autunno aveva riacceso flebili speranze, con il ritrovamento nella sede della Nunziatura apostolica di alcune ossa, poi ricondotte a una necropoli di duemila anni fa, adesso i riflettori sono puntati su un piccolo campo santo. E la strategia della Santa Sede sembra diventata quella di fugare subito dubbi e zone d’ombra per non alimentare ulteriori polemiche.

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