Il 7 aprile le forze politiche dovranno depositare i contrassegni per il rinnovo del Parlamento europeo e il Pd si presenterà probabilmente con il suo simbolo rimodulato per l’occasione con un richiamo esplicito all’Europa. E se sulla scheda gli elettori troveranno un simbolo del tipo «Pd per l’Europa» e non un simbolo di una lista unitaria allargata ad altre forze come i Verdi e la Bonino, la colpa non sarà del partito guidato da Nicola Zingaretti. È questo il messaggio che il neo segretario vuole trasmettere forte e chiaro: per questo sta incontrando tutti i possibili interlocutori, il prossimo sarà Pizzarotti, dal quale spera in una maggiore apertura dopo l’incontro andato a vuoto con la Bonino di +Europa e il niet dei Verdi. Ma se ognuno continuerà a rispondere «no, grazie» ad un invito a correre tutti insieme appassionatamente, i Dem non potranno che prenderne atto e regolarsi. Zingaretti lo ha spiegato l’altro ieri a pranzo a Carlo Calenda, promotore del manifesto «Siamo europei» e di un fronte anti-sovranista alle europee, più o meno in questi termini: «Caro Carlo, te lo avevo detto che era difficile, io mi sono impegnato, annunciando pure di esser disposto a rinunciare al nostro simbolo, ma se queste forze mi dicono di no cosa vogliamo fare?». Una richiesta esplicita per capire se il Pd potrà annoverare tra i suoi capilista il nome dell’ex ministro dello Sviluppo. Il quale l’altro giorno ha fatto intendere a Zingaretti che in quel caso non escluderebbe una sua candidatura col Pd, ma ieri ha lanciato in rete parole di segno opposto. «La tentazione del Pd di andare alle europee con il proprio simbolo è incompatibile con il mio progetto perché la lista Siamo Europei prevede che i simboli Più Europa, Pd e i movimenti civici come quello di Pizzarotti siano tutti insieme».

Ora, a parte che dopo esser stato eletto da oltre un milione di persone, Zingaretti non ci pensa proprio a fare a meno del simbolo Pd, il problema è strettamente tattico. «Queste forze, Bonino, Verdi e Pizzarotti, devono valutare quanto sono distanti dal quorum del 4%», ragiona Graziano Delrio. E infatti se si analizzano i sondaggi, un’eventuale lista comune trascinata da Calenda potrebbe agevolmente superare lo scoglio del 4% portando a casa, cioè in Europa, almeno cinque capilista; e facendo concorrenza al Pd con una lista competitiva. Vero che magari Pd e “Siamo Europei” separati prenderebbero più voti, perché parafrasando Totò, il totale lo fa la somma, ma è vero pure che la doppia lista terrebbe basso il Pd, mentre «il segretario vorrebbe mettere un bel due davanti al simbolo Pd», dicono al Nazareno, per avere un esordio vincente alla prima tornata elettorale.

Quindi Zingaretti cerca un accordo unitario sapendo che è difficile chiuderlo: entro il 15 aprile, una settimana dopo il simbolo, vanno depositate le liste e il tempo è scarso. Ai capilista Cacciari nel nord est, Pisapia nel nord ovest, Zingaretti aggiungerebbe volentieri Calenda. Al quale ha chiesto pure se vuole portare sue persone in lista nel caso sciogliesse la riserva. Intanto il segretario Dem ha incontrato Frans Timmermans, candidato del Pse al vertice della commissione Ue. «Ho sottoscritto il manifesto - ha voluto ricordare al termine, sulla terrazza dell’associazioni Civita con vista sui fori romani - e sono convinto dell’idea di Carlo Calenda: lavoreremo per liste aperte, ricche e inclusive pescando sia nella società civile sia nelle forze politiche. Quello che conta è che nel campo di forze del centrosinistra non ci siano guerre. Noi faremo al paese una proposta politica unitaria, ricca, competitiva. E se accanto ci saranno liste che si muovono, non dovremmo viverlo con spirito di polemica, ma uniti dallo stesso obiettivo. Nemmeno un voto deve essere sprecato». Insomma, come sempre Zingaretti intende procedere con spirito pragmatico. «Quello che per me è importante è che nel campo delle forze del centrosinistra non ci siano guerre. Noi daremo al paese una proposta politica aperta unitaria ricca e competitiva e se accanto ci saranno liste che si muovono in questo spirito non dovremmo viverlo con tensione e polemica ma uniti dallo stesso obiettivo. Il problema sono i sovranisti. Noi siamo uniti nel combattere questo obiettivo, vedremo con quali strumenti».

Per il resto il segretario sta mettendo vari tasselli nel puzzle del Pd: al suo fianco come vicesegretarie pensa a un tandem con Paola De Micheli, ex lettiana ed ex sottosegretario all’Economia, e Marina Sereni, franceschiniana ed ex vicepresidente della Camera. Il nodo dei capigruppo nominati nell’era Renzi resta per ora congelato, con Graziano Delrio fermo al suo posto e Andrea Marcucci a dare le carte nel gruppo del Senato dove siede Matteo Renzi.

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