Gentile Maria,
sono una volontaria del Centro di Varanasi che offre alle bambine di quella poverissima area dell’India corsi di avviamento al lavoro per renderle autonome e contrastare così la tradizione con cui le famiglie vendono figlie di 10-12 anni a uomini che fatalmente abusano di loro esponendole a ogni sorta di violenza e umiliazione. Le scrivo a nome di Lily, nonna di una delle nostre allieve, per ringraziare la cordata di scrittrici e giornaliste che ha pubblicato il libro «Mariti», un’antologia di racconti (Piemme), e con i diritti d’autore del libro sponsorizza il primo laboratorio di informatica del Centro. Scrivo io perché Lily non sa scrivere e non conosce l’italiano. È sulla cinquantina, con un sorriso spontaneo. La bocca sdentata e le mani deformate rivelano i sacrifici che le sono stati imposti. Ha camminato una intera giornata per vedere il nuovo Centro in mattoni che sostituirà le stanzette fatiscenti della prima scuola nata otto anni fa nella quale hanno studiato più di 600 bambine e che presto accoglierà la nuova infornata di allieve. Arrivata davanti all’edificio si è inginocchiata e ha baciato la terra. «Ora so - mi ha detto Lily con gli occhi pieni di lacrime - che mia nipote non dovrà subire il trattamento che ho avuto io. Lo stupro della prima notte e di molte altre notti, le botte, la fame, la paura infinita e la nostalgia di casa mia. La mamma mi aveva detto che sarei stata felice con mio marito, che lui aveva promesso di darmi una vita decente, buon cibo e abiti decorosi. Qualcosa ho avuto, ma nulla che potesse consolarmi delle punizioni che mio marito mi ha inflitto quando ho cercato di oppormi alla sua volontà. Nulla che placasse lo strazio di vedere le mie figlie esposte alle stesse violenze. Nulla che cancellasse le notti insonni, il desiderio di fuga, la costatazione della mia più completa impotenza. Queste sono le nostre usanze e pochi osano criticarle. Una scuola per donne sembra un inutile spreco di denaro in un Paese come il nostro, in cui l’uccisione di una donna passa sotto silenzio. I nostri uomini non capiscono, non ci hanno mai visto come persone. Per loro siamo poco più che animali, buoni per fare figli. Questa è stata la mia vita e la vita di mia figlia, ma per la mia nipotina si annuncia un futuro diverso. C’era bisogno di donne che venissero da lontano per cambiare le cose. E di questo non potrò mai ringraziarvi abbastanza».

Shalini

Cara Shalini,
la «sorellanza», la solidarietà femminile non deve conoscere confini e pause. E’ appena passato l’8 marzo, un giorno simbolico, o inutilmente celebrativo, certo. Ma questo, la consapevolezza che una data fine a se stessa è solo un’altra occasione per ridurre a folclore valori, diritti, aspettative, istanze sacrosante, rende l’8 marzo un momento fondamentale. E’ li a ricordarci che non dobbiamo arrenderci a chi vorrebbe rinchiuderci in un quadratino del calendario concedendoci solo quel giorno qualche attimo di visibilità. O se volete soltanto l’onore delle armi. Ogni giorno dobbiamo perseguire l’obiettivo, che non è un mondo governato dalle donne, non è una battaglia di genere che prevede un vincitore, ma vivere in un mondo giusto dove nessun essere umano si senta in diritto divino di essere migliore, più forte, libero di sottomettere altri esseri umani. E non c’è dubbio che la storia ci ha mostrato come le donne siano state e siano ancora le vittime della sopraffazione in tutti i modi possibili e senza confini. Per questo ognuna di noi, soprattutto noi donne dei Paesi «evoluti», mentre continuiamo la nostra personale battaglia, non possiamo dimenticarci di chi è ancora molto indietro, imprigionata in vite senza libertà e speranza, come le donne che in India, e in tante altre parti del mondo, vengono trattate ancora come oggetti di cui disporre. E il dramma delle spose bambine non può non essere una priorità non solo per noi donne, ma per tutte le persone che non considerano una mera utopia il raggiungimento di un mondo giusto e libero. E il fenomeno delle spose bambine è una vergogna per l’umanità.
In tutto il mondo si stima che 650 milioni di donne si siano sposate quando erano bambine. E se negli ultimi 10 anni c’è stata una riduzione del 15% di questo orrore (che in dieci anni ha portato il rapporto a scendere da 1 sposa bambina su 4 a 1 su 5 ) si deve ai progressi registrati in alcuni Paesi, soprattutto nel Sud dell’Asia, tra questi l’India dove il numero di questi «matrimoni» si è ridotto di oltre un terzo. Grazie soprattutto agli investimenti proattivi per le ragazze, alla campagna di sensibilizzazione sul tema, ma soprattutto all’aumento del livello dell’istruzione femminile. Per questo è importante aiutare il tuo centro a Varanasi, cara Shalini.

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