Si è aperto oggi a Riad il processo a 11 attiviste impegnate nella difesa dei diritti delle donne. Sono state arrestate fra il maggio e il giugno dell’anno scorso e accusate di aver agito «per minare la sicurezza e la stabilità dello Stato», aver «collaborato con soggetti ostili al Regno» e «fornito sostegno finanziario e morale a elementi all’estero». Le attiviste sono Loujain al-Hathloul, Iman al-Nafjan, Aziza al-Yousef, Amal al-Harbi, Ruqayyah al-Mharib, Nouf Abdulziaz, Maya’a al-Zahrani, Shadan al-Anezi, Abir Namankni, Hatoon al-Fassi e un’altra persona di cui non è noto il nome.

L’attivista Loujain al-Hathloul

Nell’udienza di oggi alcune delle imputate sono accusate di aver promosso campagne per i diritti delle donne e aver chiesto la fine del sistema del guardiano maschile. Altre devono rispondere del “reato” di aver contattato organizzazioni internazionali, compresa Amnesty International. «Queste accuse sono l’ultimo esempio di quanto le autorità saudite usino il sistema giudiziario e la legge per ridurre al silenzio le attiviste pacifiche – ha ribattuto Samah Hadid, direttrice delle campagne di Amnesty International sul Medio Oriente -. Il processo è un’ulteriore macchia sulla drammatica situazione dei diritti umani nel Paese».

Sulla direzione che prenderà il processo ci sono segnali contrastanti. Al-Hathloul, ha rivelato la sorella Alia, è stata costretta a confessare e a firmare una richiesta di grazia, segno che Re Salman potrebbe farla rilasciare dopo il giudizio, anche perché è pensabile che Riad non voglia aprire un nuovo fronte di polemica con gli Stati Uniti e l’Europa dopo le tensioni seguite all’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi lo scorso 2 ottobre. Ma il fratello di Al-Hathloul, Wahlid, ha specificato che il processo si svolge in una sezione speciale del tribunale di Riad, per casi di terrorismo, e quindi si può temere una maggiore severità. La prossima udienza è prevista il 27 marzo.

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