«Qui dobbiamo cambiare tutto», mette in chiaro Nicola Zingaretti. E insieme al profilo del Pd, al suo linguaggio e alle sue parole d’ordine, una delle cose da cambiare è lo statuto, separando i ruoli di segretario e candidato premier. Una rivoluzione che segna il cambio di passo rispetto all’era Renzi. Nel salone dell’hotel Ergife, teatro di tanti passaggi della politica da tre decenni, fa un caldo torrido. Zingaretti suda copiosamente e si asciuga la fronte. Malgrado ciò si respira un clima più arioso rispetto alle ultime assemblee del Pd. Saranno i sondaggi in risalita, sarà la speranza di riscossa stampata sulle facce degli ex diessini che pensano di essersi ripresi le chiavi di casa. Anche gli sconfitti, cioè i renziani, da Guerini a Lotti alla Boschi, si mostrano tutti sorridenti, come a dire «non molliamo il testimone».

Basta correntismo ma...

Infatti, anche se Zingaretti annuncia il cambiamento, per un Pd «più empatico, aperto e inclusivo, percepito come amico da chi ha sofferto la crisi», pure se vuole «abbattere un partito fatto da tanti io e il correntismo esasperato», in favore di un partito dove si mescolino le idee, il segretario sa bene quanto serva l’apporto di tutti in questa fase. E sa quanto pesino le aree interne: specie per la battaglia nei territori dove si voterà in 4 mila comuni. Non meno per le europee, dove contano le preferenze conquistate dai candidati e quindi i pacchetti di voti. Così non deve stupire che come primo atto il leader marchi la svolta a sinistra andando a deporre una corona a Porta San Paolo, dove ebbe inizio la Resistenza; ma che al contempo metta Carlo Calenda, uno dei capilista alle Europee, in direzione insieme a tanti volti giovani; o che allarghi lo spettro da Tsipras a Macron: o che citi Gramsci e Moro insieme: insomma vuole tenere tutti dentro, evitando di marcare una cesura netta col passato, con una mano tesa alle minoranze, trattate coi guanti.

Test unitario sull’ex premier

E infatti il primo test unitario, ovvero il voto su Paolo Gentiloni presidente e Luigi Zanda tesoriere, si conclude con un ok quasi corale: solo i delegati di Roberto Giachetti non votano, Gentiloni «non è una personalità terza» in quanto ha sostenuto Zingaretti alle primarie; 86 astensioni e un migliaio di sì, tra cui Boschi e Lotti, per l’ex premier che chiude l’Assemblea con un «al lavoro e alla lotta» che fa sorridere i romani in sala e non solo. «L’obiettivo della squadra è quello di tornare a vincere», mette in chiaro Gentiloni alzando l’asticella ben oltre il sorpasso sui grillini indicato da Zingaretti come target di breve termine.

I risultati delle primarie

Camicia celeste, cravatta blu, Zingaretti sale sul palco dopo la proclamazione e la lettura dei risultati ufficiali delle primarie da parte del presidente della commissione congresso Gianni Dal Moro. Votanti: 1.582.083. Martina ha ottenuto 345.318 voti pari al 22%, Zingaretti 1.035.955 pari al 66%, Giachetti 188.355 voti pari al 12%. L’Assemblea Nazionale avrà 119 membri dalle liste collegate a Giachetti, 228 per l’area Martina, 653 delegati per Zingaretti.

Quindi via con gli attacchi al governo e con il profilo del nuovo Pd: «Serve più riformismo per affrontare il futuro. Dobbiamo rimettere al centro la giustizia sociale, perché la lotta alla povertà è la condizione per stare meglio tutti». I cardini del nuovo assetto programmatico dei dem sono: lavoro al primo posto e poi infrastrutture, svolta green, sanità e welfare. E se «gli elettori M5S ci stanno ripensando», per il leader «oggi c’è una situazione nuova ed è possibile cambiare», bisogna attrezzarsi. «Con +Europa ci ritroveremo insieme nel Parlamento europeo contro i sovranisti e poi nella sfida elettorale in Italia che non è lontana, perché il governo non reggerà. Resta il progetto di una lista ampia e unitaria per l’Europee, il manifesto di Calenda diventerà un compagno di viaggio per le elezioni di maggio, la nostra lista sarà aperta e innovativa».

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