A Carmagnola le auto andavano a fuoco come cerini. Era capitato ad un funzionario dell’ufficio sport del Comune, colpevole di aver negato un premio alla figlia di un imprenditore locale con piglio da boss. Era capitato al vicesindaco Vincenzo Inglese e per due volte all’assessore alle opere pubbliche Alessandro Cammarata, entrambi approdati in giunta con le elezioni del 2016, a capo di una coalizione di centrodestra, sbaragliando al ballottaggio il centrosinistra. Senza contare poi le disavventure in cui sono incappati imprenditori e comuni cittadini nel corso degli anni. Bombe a mano contro i negozi, fori di proiettile alle vetrine, denti rotti ai clienti di un mobilificio per non aver pagato dei debiti. Ecco il lato oscuro della città, che i più conoscono solo come capitale italiana dei peperoni.

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Da ieri, all’alba, grazie ad un’operazione congiunta dei carabinieri del Ros e del Gico della Guardia di Finanza, quell’anima oscura è stata svelata. Terra di affari e prepotenze, soffocata da un connubio di ’ndrangheta e Cosa Nostra. In mano ad un triunvirato di cognomi: Arone, Defina e Buono.

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In quindici sono finiti in cella per reati che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alla produzione e al traffico internazionale di droga, al trasferimento fraudolento di valori, all’estorsione, all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, alla truffa, alla gestione illegale di slot machine. Qui gli affari erano garantiti con l’intimidazione. Due bombe a mano lanciate contro gli autosaloni (la «Progresso») o colpi di pistola alle saracinesche delle sale giochi e gioiellerie che non pagano il «pizzo»: 500 euro al mese. Soldi che finivano alla ’ndrangheta.

Le indagini

Secondo le indagini della Finanza e dei carabinieri, Antonino Defina era tra i referenti (con Francesco e Salvatore Arone) della ‘ndrina di Carmagnola legata alla famiglia Bonavota, di Vibo Valentia. Con l’aiuto del consulente del lavoro Gianmaria Gallarato, di Coazze, la cosca è riuscita a spostare e riciclare denaro, attraverso l’acquisizione di società in difficoltà economica, utilizzate anche per fare acquisti, ma pagati soltanto in parte. Il saldo non è mai arrivato, proprio grazie all’intervento dei personaggi legati alla cosca.

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Tra le attività del gruppo criminale c’erano anche le slot-machines, installate in vari locali e collegate a un server negli Usa, anziché con i Monopoli. Qui il «re» era un piccolo imprenditore del settore: Antonino Buono, palermitano di origine, uno che tutti definiscono un tipo burrascoso, capace di «incendiare le auto». I soldi sottratti allo Stato venivano reinvestiti in attività commerciali. Come i due autosaloni finiti sotto sequestro ieri mattina. Le stesse «macchinette» servivano a riciclare i soldi della droga, che arrivava a Carmagnola dalla Calabria nei camion della frutta.

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Le minacce

Forse, le cosche sono scivolate proprio sull’eccessiva sicurezza. Galeotte sono state le minacce al vicesindaco e all’assessore, impegnati in una campagna per limitare il gioco d’azzardo. Nel 2015, avevano avviato una riforma della normativa comunale in materia, anticipando di qualche mese le limitazioni introdotte dalla legge regionale. La ‘ndrangheta non aveva gradito. Ieri mattina sono stati sequestrai beni per 45 milioni di euro. Alle perquisizioni ha partecipati anche i guastatori dell’Esercito. Hanno aiutato a cercare un sacchetto con dentro sei bombe a mano. Erano da «usare contro una persona che dava problemi», ha raccontato un «pentito».

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