«Cittadinanza per mio figlio e pena di morte per l’attentatore». Il papà di Adam, Khaled El Hamami, 39 anni, marocchino con permesso di soggiorno indeterminato è richiestissimo da tv e case editrici. «Rami ha nascosto il cellulare e lo ha passato dietro fino a Adam, che ha chiamato con la testa in giù per non farsi vedere. Prima si è rivolto ai carabinieri e poi a mia moglie Hasnaa chiedendole di avvertire pure lei i soccorsi. I ragazzi sono stati bravissimi e meritano entrambi la cittadinanza. Non l’ho chiesta a nessuno, ma spero arrivi perché questi giovani si sentono più italiani che marocchini. Giocano a calcio, anche la sera stessa del fatto, e mangiano più pasta che cous cous».

Nessuna pietà invece per l’attentatore. «Non lo perdono, ha fatto un grande sbaglio e non c’entra niente l’Islam: se aveva dei problemi poteva buttarsi dal ponte senza far spaventare tutti. Merita la pena di morte». Anche la diffidenza degli italiani verso gli stranieri non è una scusa. «Solo gli immigrati che delinquono avvertono questo problema. Chi non commette reati non ha nulla da temere».

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Dal 1999 Khaled vive in Italia, con un intermezzo in Marocco, e tra otto anni potrà chiedere la cittadinanza. Intonacatore, mentre la moglie fa le pulizie, è fermo per la crisi dell’edilizia e il suo sogno è un posto fisso a Crema, «piccola città dove tutti si conoscono, sicura, con la compagnia dei Carabinieri».

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