«Botte e minacce. Ero costretta ad andare sulle strade e portare i soldi in casa, 400, anche 500 euro al giorno. Se mi ribellavo non mi davano da mangiare e nemmeno l’acqua calda per lavarmi: mi facevano fare la doccia fredda». Così una donna di 38 anni d’origine albanese aveva raccontato sette anni fa in caserma andando a denunciare il marito e i suoceri: «Mi obbligano a fare la prostituta».

Accuse pesanti per le quale ieri - venerdì 22 marzo - , a distanza di anni, Angelo Di Maio e Filippa Rugnetta, di 72 e 59 anni, abitanti a Novara, sono stati condannati a 4 anni e mezzo di carcere e 1.500 euro di multa ciascuno, con l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.

Erano imputati di maltrattamenti in famiglia, sfruttamento della prostituzione, estorsione (reato che i giudici hanno ritenuto assorbito nella condotta di prostituzione). La vittima, così ha ricostruito nella sua testimonianza in aula, doveva «lavorare» vicino al ponte di ferro a Oleggio. E, secondo quando aveva confidato a un amico, era proprio la suocera a gestire tutti i soldi: «Se non li consegnavo, me li prendeva dalla borsetta». Non c’era modo di opporsi, perché il compagno diventava violento. In casa volavano schiaffi, calci, pugni. La situazione era diventata più grave quando lei, nel marzo 2011, era rimasta incinta e aveva dovuto interrompere gli incontri sessuali coi clienti: «Se non torni a fare la prostituta, ti uccido», era stata minacciata in casa nonostante fosse all’ottavo mese di gravidanza.

La fuga dai carabinieri

Nell’estate del 2012 lei, stanca di obbedire agli ordini del «marito-padrone» e della sua famiglia, si era ribellata ed era andata a denunciare le botte ai carabinieri. Un conoscente ha confermato la sua versione: «Mi ha raccontato che se non “lavorava” non le davano neanche da mangiare né l’acqua calda per lavarsi».

Per gli stessi fatti l’ex convivente è già stato condannato nel 2015 a 2 anni e mezzo di reclusione in primo grado. Il pm Mario Andrigo aveva chiesto 9 anni di carcere. Il difensore, l’avvocato Antonella Abisso, l’assoluzione: «Non c’è alcuna prova che la donna fosse costretta a fare la prostituta. Lavorava sulle strade anche prima di conoscere il marito italiano. I suoceri le avevano solo detto di andare a lavorare e portare a casa uno stipendio». Il legale annuncia già appello.

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