Etienne Vetö è il Direttore del Centro Cardinal Bea per gli Studi Giudaici della Pontificia Università Gregoriana. Dal suo arrivo nel 2017, si è impegnato nel suo ruolo con grande verve, e in questo anno accademico sta dedicando tutta la sua energia alla commemorazione di un importante anniversario, i 50 anni dalla scomparsa del Cardinale Augustin Bea, dal quale prende nome il Centro.

Gli eventi proposti da Padre Vetö per questo "Anno del Cardinale Bea" sono davvero ricchi e stimolanti, come si evince dai titoli dei temi affrontati ogni mese da importanti studiosi, ebrei e cristiani. L'anno si è aperto a novembre con una tavola rotonda (la 18a edizione annuale di Brenninkmeijer) dal titolo provocatorio "Riscrivere Nostra Aetate", a cui hanno fatto seguito nei mesi successivi, gli incontri dal titolo "La Bibbia da tre punti di vista" (cattolica, protestante ed ebraica), "Carisma di unità e ministero petrino" sull'ecumenismo, "Il Nuovo Testamento Ebraico Annotato" (il 28 marzo) e a coronare la fine della serie di dibattiti, "Leggere le Scritture insieme", previsto per il 10 aprile.

Sono gli argomenti che rappresentano i soggetti dei contributi più degni di nota di Augustin Bea. Negli anni '60, egli fu incaricato da Papa Giovanni XXIII a ricoprire un ruolo fondamentale nel Vaticano II per l'ecumenismo e, soprattutto, di sviluppare un "Documento sugli ebrei", che diventò poi il documento pionieristico "Nostra Aetate". «Ancora oggi, la gente non si rende conto che questo documento immensamente significativo è iniziato con la dedizione ed il lavoro di uno sparuto manipolo di persone che credevano profondamente nella sua necessità», afferma il professor Vetö.

All’interno del programma, è stata dedicata particolare attenzione all’amicizia nata tra il Cardinal Bea e il Rabbino Abraham Heschel, che all'epoca era l'inviato dell’American Jewish Committee (AJC) per il Concilio Vaticano. Nel difficile compito di redigere questo documento, disseminato di ostacoli e opposizioni di ogni sorta, il Cardinale Bea si consultava spesso con Rav. Heschel, e una foto storica dei due insieme, tratta dagli archivi dell’AJC, decora alcuni dei manifesti delle conferenze. A proposito della loro collaborazione, Vetö commenta: «Questo dimostra quanto ogni persona possa cambiare le cose, e testimonia il potere dell'amicizia». I frutti di questo lavoro sono diventati una pietra miliare del dialogo in continua evoluzione, e della calorosa amicizia e stima reciproca tra cattolici ed ebrei oggi.

Augustin Bea una volta confessò al Rabbino Elio Toaff, ex Rabbino Capo di Roma, le profonde motivazioni personali che lo spingevano a persistere imperterrito nel difficile compito di ottenere l'approvazione dei Padri conciliari per il documento di Nostra Aetate. In una pagina del diario di Elio Toaff si legge: «Un giorno Monsignore Bea mi ha confidato che, in quanto nativo della Germania, sentiva tutto il peso del male commesso dal suo popolo contro gli ebrei e voleva fare qualcosa per espiare, anche se solo con un piccolo gesto».

Recentemente, un evento aggiunto al programma 2019 e organizzato in cooperazione tra il Centro e l’AJC, ha esplorato il tema delle "Relazioni ebraico-cattoliche nell'era di Francesco: obiettivi e sfide". Il Prof. Vetö ha moderato con abilità e spirito un vivace e memorabile dialogo tra il Rabbino David Rosen (Direttore Internazionale dell’AJC per gli Affari Interreligiosi) e il Card. Kurt Koch (attuale Presidente della Pontificia Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo - ente nato dall'ex Segretariato per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, guidato in origine dal Cardinale Bea).

Il Prof. Vetö affronta il suo lavoro con entusiasmo. È aperto e disponibile a nuove proposte di eventi e spesso riesce a organizzarle in tempi record. Chiaramente sente molto forte il messaggio profondo della sua chiamata, che lo rende naturalmente un perfetto discepolo del Cardinale Bea e un appropriato leader per il Centro che porta il suo nome.

Ero interessata a saperne di più sui suoi pensieri personali riguardo al significato delle relazioni ebraico-cristiane, e ho chiesto un colloquio personale con lui. La nostra conversazione a ruota libera si è svolta durante un piacevole pranzo alla "Stampa Estera" di Roma.

Padre Etienne, come è diventato Direttore del Centro Cardinal Bea?

«Due anni e mezzo fa, l'ex rettore del "Greg" (la Pontificia Università Gregoriana) mi ha chiesto come immaginavo il mio futuro. Gli ho parlato dei miei sentimenti riguardo all'alto significato delle relazioni ebraico-cristiane. All'epoca ero il Rettore dell'Ecole Normale Superiore di Parigi, la stessa in cui avevo studiato. Appartengo alla Comunità “Chemin Neuf”, che esprime una dimensione ecumenica dell'unità cristiana tra cattolici, ortodossi e protestanti. Questa dimensione si estende naturalmente anche al desiderio di unità con il popolo ebraico. Per essere chiari, lasciatemi aggiungere che il concetto di unità include il rispetto e la comprensione delle nostre identità separate.

Dunque, il giorno dopo la mia ordinazione nel 1997 sono andato in Israele. Mi aspettavo di rimanere colpito dai siti cristiani, e lo fui. Ma ciò che mi ha commosso di più è stato il Kotel (il Muro Occidentale) e il Monte del Tempio. Lì ho sentito la "Shekinah", la Presenza di Dio. Il posto era speciale, unico. Parlando agli ebrei delle loro aspettative sul Messia che sarebbe venuto attraverso la Porta d'Oro, ho sentito che sarebbe stata la stessa persona sia per noi che per loro, per ebrei e cristiani. La città di Gerusalemme è un posto speciale in cui si sente la presenza del Signore mentre si rivela al popolo ebraico.

In breve, mi sono sentito completamente a casa. Il Salmo 132: 13 dice: "Il Signore ha scelto Sìon (Gerusalemme); ha desiderato che fosse la sua residenza. ‘Questo sarà per sempre il luogo in cui dimorerò’, ha detto. ‘Qui risiederò, perché questo è il mio desiderio.’” Le nostre radici sono qui. Molti dei miei amici cristiani si sentono allo stesso modo. Ho intuito che il Signore non voleva che ci separassimo in due religioni e che io dovessi seguire questa direzione. Chiaramente, tuttavia, questo non richiede conversione, vivendo semplicemente insieme e credendo che possiamo crescere sempre più vicini fino a diventare veramente Uno, attraverso modi che solo Dio conosce e può realizzare.

Per chiarire: ciò significa soprattutto che dobbiamo rimanere fedeli alle nostre credenze, mentre lavoriamo anche per la riunificazione del popolo di Dio. Solo Dio sa quale sarà il risultato finale di questo percorso, ma dobbiamo cercare di superare il divario di 2000 anni. Se riusciamo a farlo, ci avvicineremo di più. Dobbiamo procedere passo dopo passo. Non possiamo prevedere cosa accadrà il giorno in cui il Messia verrà».

Come svolge il suo compito?

«Da cristiano sentivo che mancava qualcosa nella mia fede e avevo bisogno di relazionarmi con le mie radici ebraiche e con il popolo ebraico oggi. Volevo aiutare altre persone a scoprirlo. Volevo avere relazioni con ebrei, andare alle sinagoghe e sperimentare come pregano gli ebrei. A Roma sono stato al Tempio Maggiore, che è ortodosso, e anche ai servizi della giovane comunità ebraica progressista. Dobbiamo fare cose per riportarci di nuovo insieme, lavorare sul dialogo.

Il centro Bea offre una grande possibilità. Trattiene inoltre rapporti privilegiati con il Centro per lo Studio del Cristianesimo dell'Università Ebraica di Gerusalemme (reso possibile grazie al generoso contributo di Hubert e Aldegonde Brenninkmeijer).

Siamo in una nuova fase nelle relazioni ebraico-cristiane, in cui possiamo fare scoperte insieme, e non solo in una materia particolare come l'ambiente o la giustizia. Ogni cristiano deve imparare a capire l'unicità della nostra relazione. Gli ebrei hanno ricevuto le Rivelazioni in passato, ma essi rimangono ancora oggi il popolo eletto di Dio.

Da tempo volevo creare una Fondazione ebraico-cristiana, quindi quando mi è stata offerta questa posizione mi è sembrato un passo fondamentale in quella direzione.

Una delle sfide che il Centro Cardinal Bea affronta è infatti quella di portare le relazioni ebraico-cristiane fuori dalla loro posizione o "nicchia" attuale, portarle diciamo così allo scoperto, per farle diventare parte del mainstream della vita quotidiana dei cristiani. Mi riferisco non solo alla dimensione teologica, ma anche come aspetto di una vita cristiana completa.

La Chiesa considera speciale il popolo ebraico, un popolo scelto da Dio. Quindi dobbiamo sviluppare una comprensione più profonda, e questo è possibile solo se 1) i cristiani hanno una vera conoscenza dell'ebraismo (Giovanni Paolo II considerava le relazioni ebraico-cristiane non come "interreligiose" ma come "intra-famigliare", perché considerava gli ebrei e il giudaismo parte integrante dei cristiani e del cristianesimo. Sono parte di noi. E 2) Abbiamo bisogno di affrontare la nostra teologia insieme, non solo attraverso il dialogo ebraico-cristiano, ma come studi ebraico-cristiani. Dovremmo studiare insieme la Torah.

Al Bea Center, infatti, almeno un terzo della facoltà è di religione ebraica. Le lezioni vengono spesso condotte a due voci. Ad esempio, Rav David Meyer e Rav Joseph Levi, l'ex Rabbino Capo di Firenze, partecipano spesso. Gli studenti sentono che stiamo imparando gli uni dagli altri, non stiamo semplicemente "conoscendoci" l'un l'altro.

Ancora una volta, devo ripetere, siamo contrari al sincretismo. Non abbiamo bisogno di conversione. In questo processo io sto diventando un cattolico migliore e gli ebrei mi dicono che stanno diventando ebrei migliori. Vedere le stesse radici riflesse negli occhi dell'altro arricchisce la visione delle nostre stesse radici, che sono le stesse, in questo caso».

Mi racconti qualcosa della sua vita.

«Mio padre era un rifugiato ungherese della Rivoluzione del 1956. Lasciò l'Ungheria e si trasferì in Francia dove incontrò una bellissima donna francese, mia madre. Mio padre non era cresciuto in una famiglia religiosa, ma dopo aver stretto amicizia con cristiani e aver letto i Padri della Chiesa, ha conosciuto Dio attraverso di loro. Io sono nato il 28 novembre 1964 a Milwaukee, nel Wisconsin, ho vissuto vicino a New Haven dove mio padre insegnava filosofia e mia madre insegnava letteratura comparata all'Università di Yale. Nel 1975 ci siamo trasferiti in Costa d'Avorio e nel 1979 in Francia. Ho doppia cittadinanza, americana e francese. Ho vissuto anche nel Regno Unito e in Germania, dove ho studiato presso la Facoltà protestante dell'Università di Humboldt a Berlino. Sono entrato nella Comunità "Chemin Neuf" nel 1987. Studiavo filosofia all'Ecole Normale Superiore di Parigi, e nel 1989 ho conseguito la mia "Agregation" in Filosofia, equivalente al dottorato di ricerca nel sistema francese. Ho insegnato filosofia per due anni in Congo e poi a lungo a Parigi, al "Centre Sèvres", la Facoltà dei Gesuiti. Ho anche studiato teologia alla Gregoriana e a Berlino, e poi ho conseguito un dottorato in teologia a Parigi nel 2009. Nel frattempo ho lavorato in Vaticano per due anni, dal 1999 al 2001, per il Comitato per il Grande Giubileo dell'anno 2000. Sono sempre stato coinvolto nel ministero per la gioventù e il ministero per le coppie sposate. Ho iniziato a insegnare Teologia al Greg nel 2014, specializzandomi in Trinità, Antropologia teologica, Ecumenismo e ora relazioni ebraico-cristiane».

Una ricca quantità di studi...

«Sì, beh, mi piace leggere. Negli Stati Uniti, quando ero un ragazzo, andavo in biblioteca a mercoledì alterni e prendevo 30 libri alla volta. Mi alzavo presto ogni mattina per leggere. Ad un certo punto i miei genitori hanno dovuto decidere che dovevo aspettare almeno fino alle 6 del mattino per iniziare a leggere. Ho preso quest’abitudine all'età di 7-8 anni».

E la fede, quando è iniziata la sua forte fede?

«Pregavo a casa, con i miei genitori, mio fratello e mia sorella. Ogni sera da bambino recitavo una breve preghiera delle Scritture. All'età di 12 anni ho deciso di essere "troppo maturo" per pregare con la mia famiglia. Possedevo un piccolo Nuovo Testamento che avevo comprato con la mia paghetta e iniziai a leggere da solo. Ho fantasticato su Ghandi e altri grandi leader spirituali. Ma sentivo che Gesù era veramente lì con me mentre leggevo il mio Nuovo Testamento, e rimaneva ancora lì quando chiudevo il mio libro. Ho parlato con lui ed è rimasto presente da allora... Sarei felice se il Messia risultasse essere ebreo».

Non ha mai dubbi sulla sua fede di fronte a tutti i mali che accadono ogni giorno nel mondo?

«Non ho alcun dubbio che le forze del Male esistano e io credo nell'esistenza di Satana. Tuttavia, esiste anche il potere del Bene nel mondo, ed è enorme. Sono convinto che sia incomparabilmente più forte delle forze del Male. In questo sta l'importanza del libero arbitrio nelle relazioni ebraico-cristiane, e la scelta di percorrere questo cammino. Siamo, insieme, anche responsabili sia del bene che del male».

*L’autrice è Rappresentante dell’AJC in Italia e di Collegamento presso la Santa Sede

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