La mediazione egiziana sembra aver funzionato e per il momento la “Marcia del milione”, convocata da Hamas per celebrare il primo anniversario della “Grande marcia del ritorno”, è finita con un bilancio che avrebbe potuto essere assai peggiore. Tre palestinesi uccisi, tra cui due 17enni, e almeno 300 feriti durante gli scontri con l’esercito israeliano schierato massicciamente al confine di Gaza ma, data la tensione dopo il razzo lanciato martedì alla periferia di Tel Aviv e i successivi raid aerei di rappresaglia, si temeva l’escalation. In realtà, nonostante la chiusura delle scuole ordinata da Hamas per incoraggiare la partecipazione, i numeri (Israele parla di 40 mila persone) appaiono di molto inferiori rispetto alle stime della vigilia.

Era stato proprio l’Egitto a farsi pontiere in una sorta d’implicito patto tra i belligeranti in vista di una prossima tregua: da una parte Hamas, oltre a fermare il lancio di palloncini incendiari e razzi, avrebbe dovuto contenere le proteste (cosa che ha fatto con un servizio d’ordine in gilet arancione incaricato di tenere la gente a 300 metri di distanza dalla barriera di confine); dall’altra il Cairo garantiva l’impegno israeliano a un allentamento del blocco alla pesca, un incremento dei camion ammessi attraverso il valico merci di Kerem Shalom e una maggiore fornitura di elettricità.

La data del 30 marzo era incandescente anche perché sovrapponeva diversi piani: la ricorrenza della marcia del ritorno, con cui i palestinesi rivendicano le proprietà di famiglia per i discendenti dei rifugiati del ’48 e che in un anno ha fatto 200 vittime (tra cui un cecchino israeliano); la richiesta della fine del blocco imposto da Israele ed Egitto che, secondo le agenzie umanitarie, grava molto sulle condizioni misere dei 2 milioni di abitanti di Gaza; il ricordo degli scontri sanguinari del 30 marzo ’76; la necessità di Hamas di riaffermare la presa sulla Striscia dove da settimane i giovani senza lavoro né futuro mordono il freno, manifestando contro l’occupazione, ma soprattutto contro il proprio governo. E, last but not least, la campagna elettorale in vista del voto del 9 aprile, in cui Netanyahu si gioca ruolo e prestigio. I prossimi giorni diranno quanto pesi la «soddisfazione» dichiarata da fonti diplomatiche israeliane per la giornata «calda ma meno violenta del passato». Hamas, i cui capi Ismail Haniyeh e Yahyia Sinwar erano al confine, fa sapere di aver altre richieste, tra cui la questione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. L’Egitto vigila.

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