L’ambasciatore palestinese presso la Santa Sede esprime apprezzamento per la dichiarazione congiunta su Gerusalemme firmata dal Papa e dal re del Marocco Mohammed VI lo scorso 30 marzo a Rabat ed esprime l’auspicio che la comunità internazionale, e in particolare le amministrazioni statunitense e israeliana, ascolti l’appello e preservi il carattere multireligioso e plurinazionale della Città santa.

 

«Le dichiarazioni sono importanti ma ora abbiamo bisogno di azioni sul campo per mantenere, insieme, il messaggio e la visione del Santo Padre e della Santa Sede rispetto alla città di Gerusalemme», spiega Issa Kassissieh, di religione cristiana, in un colloquio con Vatican Insider. «So che ci sono molti problemi nel mondo, ma stiamo parlando di Terra Santa, di Betlemme, di Gerusalemme: la storia del cristianesimo viene da lì, Gesù Cristo ha vissuto lì: la Santa Sede e le altre Chiese hanno la responsabilità di mantenere l’identità della città e preservare la sua dimensione cristiana. All’incontro dell’anno scorso a Bari il Papa e i capi delle Chiese orientali hanno espresso la loro preoccupazione per la situazione. C’è il rischio che i cristiani emigrino: ma non possiamo parlare di Pasqua nella città santa, che si celebra tra pochi giorni, con le Chiese trasformate in musei, vogliamo vedere le Chiese piene di fedeli, le pietre vive. Spero che il mondo cristiano ascolti la nostra preoccupazione, non vogliamo sentirci abbandonati, come disse una volta il patriarca Sabbah: c’è una responsabilità cristiana nei confronti della Terra Santa».

 

Il Papa ha firmato a Rabat la dichiarazione congiunta che riconosce «l’unicità e la sacralità di Gerusalemme/ Al Qods Acharif» con Mohammed VI, che, oltre ad essere sovrano del Marocco, è storicamente il presidente della commissione che si occupa di Gerusalemme a nome dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (Oic). «Noi riteniamo – recita l’appello – importante preservare la Città santa di Gerusalemme/ Al Qods Acharif come patrimonio comune dell’umanità e soprattutto per i fedeli delle tre religioni monoteiste, come luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo. A tale scopo devono essere conservati e promossi il carattere specifico multi-religioso, la dimensione spirituale e la peculiare identità culturale di Gerusalemme/ Al Qods Acharif. Auspichiamo, di conseguenza, che nella Città santa siano garantiti la piena libertà di accesso ai fedeli delle tre religioni monoteiste e il diritto di ciascuna di esercitarvi il proprio culto, così che a Gerusalemme/ Al Qods Acharif si elevi, da parte dei loro fedeli, la preghiera a Dio, Creatore di tutti, per un futuro di pace e di fraternità sulla terra».

Un appello congiunto che, sottolinea l’ambasciatore di Mahmoud Abbas in Vaticano, «è un messaggio per tutti, e in particolare per l’amministrazione statunitense e per gli israeliani. Gerusalemme è un mosaico, è luogo di pellegrinaggio per i fedeli delle tre religioni monoteiste, cristianesimo islam e ebraismo, non è esclusivamente di una parte», prosegue il diplomatico palestinese, ricordando che quando il presidente Usa Donald Trump ha unilateralmente riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele «il Santo Padre e la Santa Sede hanno rifiutato ufficialmente questa posizione ed hanno ricordato la necessità di rispettare lo status quo della città santa, che è corpus separatum» e sottolineando altresì che nel 2015 la Santa Sede ha firmato un accordo bilaterale che riconosce lo Stato di Palestina nei confini tracciati nel 1967. «Vorremmo – afferma ancora Issa Kassissieh – che l’amministrazione statunitense ascolti la voce di Sua Santità, basata sulla legittimità e le risoluzioni internazionali. Questo è il cammino per la pace e la sicurezza per tutti, mentre se le cose continuano a deteriorarsi, con la posizione di Trump e le iniziative politiche del governo israeliano, temo che la città santa di Gerusalemme sarà il buco nero che assorbirà tutti i risultati raggiunti e fomenterà gli estremismi di ogni parte». Secondo l’ambasciatore palestinese, in particolare, «il governo israeliano quotidianamente cambia le caratteristiche geografiche e demografiche della città: se Gerusalemme viene manipolata da una parte, siamo più vicini alla guerra, quando è invece aperta e condivisa siamo più vicini alla pace».

 

Il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen), peraltro, ha scritto al «fratello» Mohammed VI re del Marocco, lo scorso quattro marzo, per caldeggiare che la questione di Gerusalemme fosse al cuore della visita del Papa nel paese maghrebino e delle loro eventuali dichiarazioni.

 

Il suo ambasciatore oggi sottolinea che l’appello di Rabat (30 marzo), così come la dichiarazione congiunta firmata ad Abu Dhabi dal Papa con il grande imam al-Tayyib di al-Azhar sulla fratellanza umana (4 febbraio), sono testi importanti, sui quali «bisogna ora costruire, mantenere la dinamica, rafforzare il dialogo costruttivo per rafforzare i moderati. Nel mondo arabo-musulmano c’è l’Isis, ci sono gli estremisti che usano la religione e vanno alla moschea non per pregare ma per usare l’islam a fini politici, ma abbiamo visto che specialmente negli ultimi due anni anche nel mondo cristiano, penso in particolare agli evangelicali, c’è chi usa la Bibbia fuori dal suo contesto e dal suo messaggio spirituale per il proprio obiettivo, una cosa che ci tocca direttamente in Terra Santa».

Ecco perché, secondo l’ambasciatore Kassissieh, è necessario uno sforzo comune che riunisca la Santa Sede, il re del Marocco, i paesi europei, nonché il re di Giordania Abdallah che a inizio settimana era ad Assisi per ricevere la lampada della pace, per lavorare alla soluzione dei due Stati, Israele e Palestina, che convivono. La dichiarazione congiunta di Rabat va tradotta in pratica per «portare insieme tutti coloro che credono alla centralità e spiritualità di Gerusalemme», afferma il diplomatico palestinese: «Ci aspettiamo dalla Santa Sede che prenda la guida di questi sforzi e assicuri che la città santa rimanga un mosaico».

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