Molte reazioni, nel mondo ebraico, all’appello congiunto per la tutela dei luoghi sacri di Gerusalemme lanciato in Marocco da Papa Francesco e dal re Mohammed VI. A raccogliere diverse voci sia favorevoli che contrarie è l’edizione di ieri del notiziario quotidiano Pagine Ebraiche, edito dall’Ucei, in un pezzo firmato da Adam Smulevich. 

Così l’appello: «Noi riteniamo importante preservare la Città santa di Gerusalemme/ Al Qods Acharif come patrimonio comune dell’umanità e soprattutto per i fedeli delle tre religioni monoteiste, come luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo. A tale scopo devono essere conservati e promossi il carattere specifico multi-religioso, la dimensione spirituale e la peculiare identità culturale di Gerusalemme/ Al Qods Acharif. Auspichiamo, di conseguenza, che nella Città santa siano garantiti la piena libertà di accesso ai fedeli delle tre religioni monoteiste e il diritto di ciascuna di esercitarvi il proprio culto, così che a Gerusalemme/ Al Qods Acharif si elevi, da parte dei loro fedeli, la preghiera a Dio, Creatore di tutti, per un futuro di pace e di fraternità sulla terra».

L’approfondimento inizia con le perplessità espresse da Sergio Della Pergola, demografo all’Università ebraica di Gerusalemme e figura di spicco della comunità degli Italiani in Israele, che provocatoriamente afferma: «Visto che Gerusalemme è di tutti, allora anche il Vaticano sia di tutti. Aspettiamo quindi con impazienza l’apertura di una sinagoga e di una moschea all’interno del suo territorio, così da assicurare libertà di culto a tutti i fedeli delle religioni abramitiche». Della Pergola poi si chiede: «La mia domanda analitica è: guardandoci attorno, quale altro sito ha questa prerogativa? Esiste nel mondo un altro luogo dove anche gli ebrei possano dire “sì, anche questo è mio”?». 

Più morbida l'opinione di Valentino Baldacci, presidente dell'Associazione Italia-Israele di Firenze, secondo cui «è bene troncare sul nascere ogni maliziosa interpretazione dell’appello del Papa e del Re del Marocco, lasciandolo nel suo ambito proprio, cioè quello esclusivamente religioso». Una interpretazione che, sostiene, «favorirà la continuazione e l’approfondimento dei rapporti politici, economici e culturali tra Israele e i Paesi arabi moderati, tra i quali il Marocco svolge un ruolo rilevante; senza dimenticare che il Marocco è l’unico Paese islamico nel quale esiste ancora una consistente presenza ebraica».

Il ricercatore Davide Assael, che di recente ha curato un numero di Limes dedicato a Israele, sostiene: «È in corso un tentativo di avvicinamento al mondo arabo e all’Islam con l’obiettivo di favorire un clima più disteso in Medio Oriente. Se questo porterà a qualcosa di tangibile adesso è difficile dirlo. È però possibile che Bergoglio abbia già davanti a sé una strategia articolata nei dettagli, e se oggi non la cogliamo non è da escludere che in futuro possa portare a risultati insperati. Da un politico abile come il papa è lecito aspettarselo».

Rammarico invece da parte di due esponenti del rabbinato, rav Giuseppe Momigliano e rav Elia Richetti, entrambi già a capo dell'Assemblea Rabbinica Italiana. Dichiara rav Momigliano: «La Chiesa non ha fiducia nell’autorevolezza dello Stato di Israele in quanto garante delle libertà religiose di tutti. Questa iniziativa lo certifica in modo chiaro e quindi qualche ripercussione per forza di cose ci sarà. Sul piano dei rapporti interreligiosi assunzioni del genere alimentano infatti un clima di freddezza. È inevitabile». Mentre Rav Richetti attacca: «Ponendo l’identità ebraica di Gerusalemme in una posizione non preminente rispetto a quella delle altre tradizioni religiose e negando di conseguenza il diritto che Gerusalemme sia riconosciuta come capitale di uno Stato ebraico, il papa sembra dimenticare chi era Gesù e in quali luoghi ha agito». 

Positiva invece la lettura dell’appello da parte di Ruben Della Rocca, vicepresidente della Comunità ebraica di Roma: «Bergoglio - dice Della Rocca - sta riconoscendo che Israele è l’unico Paese ad avere la capacità di tutelare i luoghi sacri di Gerusalemme. Una politica che attua costantemente dal 1967, da quando cioè ne ha avuto la possibilità». 

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