Ricominciamo. Fanno due mesi e un giorno che l’Italia è senza il ministro per gli Affari Europei. Non che prima lo avesse davvero, dato che Paolo Savona a Bruxelles non lo hanno mai visto dal decollo del governo. Però l’uscita di scena del professore rappresenta qualcosa di più d’una semplice mancanza. Essa conferma la miope disattenzione dell’Italia per la gestione della cosa europea. Ed è l’indizio in più di una tendenza a essere laterali rispetto ai partner di Bruxelles che rischiamo di pagare cara.

Al ministro “europeo” toccano diversi mestieri. Il primo è di manutenere il mercato unico con gli omologhi del consiglio Affari Generali. Il secondo è quello di caposquadra degli italiani impegnati nelle istituzioni comunitarie: deve coltivarli, valorizzarli e coordinarli laddove giusto e possibile.

Gli altri lo fanno, e pure bene, visto la fatica che facciamo ad avere ruoli apicali. Così si può amare o meno questa Unione, ma non si può mai lasciare vuoto il posto del Paese o perdere la passione di affermare l’interesse nazionale nel perseguimento degli obiettivi comuni. Gli assenti, dice un saggio, hanno sempre torto. E alla fine si ritrovano con un pugno di mosche.

ps. Questa è la versione rimixata del pezzo pubblicato due mesi fa. Non cambia nulla così non cambia neanche il tutto.