Si stringe il cerchio intorno al vescovo indiano Franco Mulakkal, accusato di aver violentato per diverse volte una suora tra il 2014 e il 2016, in un caso che ha scosso fin dalle fondamenta la Chiesa cattolica indiana. Arrestato nello scorso settembre e poi rilasciato su cauzione, il vescovo ora è stato denunciato ufficialmente da un circostanziato rapporto di polizia che, in circa cento pagine, ricostruisce i fatti, raccoglie e presentata ai giudici oltre 80 testimonianze di suore, preti e altri vescovi.

Mulakkal, che si è dimesso dalla guida della diocesi di Jalandhar, è accusato di stupro e «abuso di posizione dominante» ed è stato rinviato a giudizio. Il prelato originario del Kerala, che continua a negare ogni addebito, rischia una pena detentiva fino all’ergastolo.

Il caso si è aperto a giugno dello scorso anno, quando la vittima, una suora 46enne della congregazione diocesana delle Missionarie di Gesù, ha presentato una denuncia. La polizia ha però iniziato a indagare solo a settembre, quando la vicenda è letteralmente esplosa sulla scena internazionale grazie alle proteste pubbliche organizzate da cinque suore della stessa congregazione, al clamore suscitato nella comunità cattolica e alla visibilità data dai mass-media. Il tutto mentre nella Chiesa cattolica a livello globale teneva banco lo scandalo degli abusi sessuali sui minori e si squadernava anche il delicato capitolo della violenza inflitta dal clero alle religiose. 

Suor Anupama Kelamangalath, una delle cinque coraggiose che per mesi ha inscenato una protesta pacifica davanti al tribunale del Kerala, ha parlato di «vittoria a metà». Il caso, ha detto, è paradigmatico e «serve a richiamare l’attenzione sull’uso scorretto del potere da parte delle autorità ecclesiastiche». «Siamo soddisfatte per aver raggiunto l’obiettivo di una accusa formale, nonostante la dura opposizione ricevuta. Ben pochi sono stati al nostro fianco; sicuramente Gesù Cristo è con noi», ha dichiarato la religiosa, ricordando il sostegno ricevuto dallo speciale comitato ecumenico “Save Our Sisters”. Gli attivisti hanno aiutato le religiose in quello che molti hanno definito «un calvario», dato che settori nella stessa Chiesa cattolica hanno tentato di silenziarle e screditarle. Il comitato nota il passo storico, per cui «un vescovo andrà a processo per la denuncia di una suora a lui subordinata».

In un colloquio con Vatican Insider, suor Lissy Maruthanakuzhy, religiosa della congregazione delle Figlie di San Paolo, originaria del Kerala, per anni a fianco dell’arcivescovo Thomas Menamaparampil, oggi impegnata nell’evangelizzazione nello stato indiano di Maharashtra, rileva: «È una vicenda molto triste ed è una ferita per la Chiesa in India. Devo direi che mi è capitato di sentire altri casi simili, ma spesso non vengono in superficie. È difficile, infatti, che le suore denuncino abusi o violenze: in primis perché si vergognano, poi perchè si nutre un rispetto profondo verso l’autorità ecclesiale di preti e vescovi, perfino quando questi ne abusano. Infine esiste anche l’elemento della subalternità culturale presente nella società indiana: è la parola di un uomo contro quella di una donna. Tutto questo rende molto difficile far emergere casi dolorosi come questo. Credo e spero che questa vicenda possa infondere coraggio a tutte le suore vittime di simili drammatiche violenze».

La suora ricorda che anche Papa Francesco ha pubblicamente affrontato il delicato tema dell’abuso sessuale di suore da parte del clero, stigmatizzando «quanti abusano dei poteri santi loro conferiti». E indica una strada da seguire per risalire alla radici del fenomeno e trovare una terapia, specialmente nel contesto indiano: «La soluzione sorgiva è un profondo cammino spirituale, un autentico incontro con Cristo. Ogni prete dovrebbe essere fortemente radicato in Cristo. In India vi sono preti che vivono da soli in parrocchie o in villaggi isolati e sono esposti a tentazioni di ogni sorta. Vanno aiutati e accompagnati. D’altro canto – rileva – è quanto mai necessaria un’opera di formazione e coscientizzazione delle religiose in India, che punti a rimarcare la dignità intrinseca e inalienabile della donna, il carisma e il contributo femminile nella Chiesa, che va ben oltre il servizio al clero». Infine, osserva suor Lissy, «questa vicenda è un grave danno per l’immagine della Chiesa nella nostra nazione, e toglie credibilità a clero e religiosi».

Tanto più che in Kerala, lo stato di cui il vescovo Mulakkal è originario e che è teatro della vicenda degli abusi, i cristiani costituiscono circa il 20% della popolazione, una percentuale molto significativa se si pensa in India, nel suo complesso, i cristiani sono il 2,3%. La Chiesa cattolica nello Stato è una istituzione apprezzata e rispettata soprattutto per il contributo che offre nel campo sociale e tramite i suoi numerosi istituti di istruzione. L’accusa formale al vescovo Mulakkal giunge mentre la Federazione indiana vive il mese dedicato alle elezioni generali (il voto si svolge in sette fasi, dall’11 aprile al 19 maggio), e mentre i vescovi cattolici hanno diffuso pubblici messaggi sul «bene comune del Paese», auspicando «una buona governance» per la nazione. Quella stessa «leadership trasparente» che oggi i fedeli indiani invocano a gran voce dai loro vescovi.

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