Un «tempo di grazia» dedicato alla riflessione e alla preghiera, per chiedere a Dio «un futuro di pace e prosperità per la gente del Sud Sudan». Nelle parole del segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, è questo il senso del ritiro spirituale in corso in Vaticano, nella Casa Santa Marta, al quale partecipano le massime autorità civili ed ecclesiastiche del giovane Paese africano.

Il porporato - riferisce il sito Vatican News - ha aperto nel primo pomeriggio di ieri l’evento, portando il saluto di Papa Francesco che oggi pomeriggio, alle 17, incontrerà il presidente Salva Kiir Mayardit e il leader dell’opposizione, Rick Machar, insieme agli altri presenti, ai quali rivolgerà un discorso.

Questa due giorni in Vaticano, ha ricordato Parolin, è stata approvata dal Pontefice su proposta presentata dall’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby, che l’ha pensata come iniziativa «spirituale, ecumenica e diplomatica». Si tratta, ha messo in luce il cardinale, di una «opportunità» di incontro e riconciliazione nello spirito «del rispetto e della fiducia» per coloro che «in questo momento hanno la missione e la responsabilità speciali di lavorare per lo sviluppo» del Sud Sudan, precipitato nel 2013 in una sanguinosa guerra civile, con un bilancio di almeno 400 mila morti.

Da parte sua l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby - ancora in viaggio verso Roma, come informa il portale della Santa Sede - ha fatto arrivare ai partecipanti all’incontro il proprio saluto e il ringraziamento al Papa per l’ospitalità «nella sua casa», sottolineando anche la sollecitudine di Francesco per il Sud Sudan. Welby ha anche ricordato l’impegno dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati, che ha visitato il Paese africano a fine marzo.

Ieri pomeriggio ha preso la parola anche il gesuita Agbonkhianmeghe Orobator che si è soffermato sul vero significato di ritiro spirituale, inteso come tempo «per incontrare Dio». Il Signore, ha spiegato, «ci parla qui», non «con il telefono cellulare», né «attraverso Twitter, Facebook, Instagram», in un percorso che è di guarigione, di purificazione e di missione come «artigiani di pace».

L’invito del religioso è stato a parlare «l’un l’altro» dal profondo del cuore, non dimenticando mai i 13 milioni di abitanti del Sud Sudan, affinché l’accordo di pace sia siglato soprattutto «nei nostri cuori». Il predicatore, presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori dell’Africa e Madagascar, nella seconda parte del pomeriggio ha esteso la riflessione all’inno nazionale sudsudanese “South Sudan Oyee!”, nel quale si menziona Dio due volte. Ha quindi sollecitato i presenti a declamarlo ed ascoltarlo durante il ritiro per recuperare il «sogno» dell’inno, andando oltre le «ostilità» e le «incomprensioni», scegliendo la pace alla guerra e una riconciliazione non solo «personale» ma «nazionale».

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