«Omosessuali, adulteri, mentitori, fornicatori, ladri, ubriachi, atei e idolatri: l’inferno vi aspetta. Il diavolo ha accecato tante persone in questo mondo, pentitevi e rinnegate le vostre idee diaboliche». No, non sono le parole di Bernardo Gui, l’inquisitore medievale del Nome della Rosa, ma un post di Israel Folau, stella del rugby australiano di inizio XXI secolo, che ora potrebbe pagare care le sue farneticazioni, nate come commento alla decisione della Tasmania di rendere facoltativa l’indicazione del genere sui certificati di nascita.

Già nel 2017, quando si era pronunciato contro i matrimoni fra persone dello stesso sesso, e di nuovo l’anno scorso l’estremo dei Wallabies, 30 anni, 73 presenze in nazionale, il giocatore più forte d’Australia, si era lasciato andare a simili deliri («gli omosessuali andranno all’inferno se non si redimeranno»). E l’aveva passata liscia.

Stavolta la federazione australiana - se non verranno trovati «convincenti motivi attenuanti» - ha tutta l’intenzione di radiarlo. «Folau ha diritto ad avere delle opinioni, ma il suo modo di esprimerle non è coerente con i valori dello sport», è scritto nel comunicato congiunto di Rugby Australia e dei Waratahs, il club del Savonarola ovale. «Il rugby è uno sport che lavora per unire e vogliamo che tutti si sentano benvenuti, senza alcuna diffamazione basata sulla razza, sul genere, sulla religione o sulla sessualità».

Parole fermissime, che trovano riscontro nella storia recente del rugby, visto che sia l’ex capitano del Galles Gareth Thomas, sia Nigel Owens, l’arbitro più celebre del rugby, famoso per le sue battute taglienti, hanno fatto coming-out ricevendo solo parole di stima e grande affetto. L’Australia, fra l’altro, è uno dei paesi che storicamente più hanno a cuore le campagna anti-omofobia.

Folau da due giorni non è reperibile, e la sua sorte professionale sembra segnata, anche se perderlo, a pochi mesi dai mondiali, per gli aussie sarebbe una botta tremenda. «Non sono omofobo, e comunque la mia fede è più importante della ma carriera», aveva dichiarato due anni fa Israel, detto Izzy, membro attivo delle Assemblee di Cristo, un gruppo di chiese pentecostali. Una linea di difesa che non ha convinto nessuno.

Molti dei suoi colleghi nelle ultime ore si sono schierati anche violentemente contro di lui, da James Haskell («sei un grande giocatore, ma anche un fottuto e ignorante bigotto, nello sport non c’è posto per questa spazzatura»), a Joe Marler, altro veterano del rugby inglese, che su Twitter ha postato un bacio omosessuale taggando l’account di Folau, fino al capitano del Giappone Michael Leitch che ha definito il collega australiano ‘un bullo’.

Incredibilmente però dall’Inghilterra è arrivata anche una voce a sostegno di Folau, quella di Billy Vunipola, terza linea dei Bianchi, che ha postato uno dei circa 8000 ‘likes’ al tweet di Folau, aggiungendo che «l’uomo è stato fatto per la donna». A sua volta, il messaggio di Vunipola è stato appoggiato da altri nazionali inglesi come Courtney Lawes, Nathan Hughes e Manu Tuilagi. E ora anche Vunipola rischia sanzioni pesanti dalla RFU, la federazione inglese, e dai Saracens, il suo club di appartenenza.

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