Senza acqua non c’è vita, né cura o bellezza. Dal 13 aprile al 1o settembre il Mao, Museo d’Arte Orientale, via san Domenico 11 ospita «Goccia a goccia dal cielo cade la vita. Acqua, Islam e arte», mostra a cura di Alessandro Vanoli con Ilaria Bellucci e Giovanni Curatola.

«Mā», acqua, due lettere in arabo. A partire dalle affermazioni del Corano tra acqua e mondo islamico nasce un rapporto intimo e prezioso. Le ragioni climatiche lo spiegano in parte: c’è un’eredità antica di civiltà, un senso religioso radicato e ragioni culturali complesse. L’acqua appartiene al nostro inconscio più profondo: evoca la purezza, la sensualità, la nascita e la morte. La vita in ogni sua goccia. Il fluire e lo scorrere.

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Questo vale per ogni civiltà, ma nell’Islam ha trovato un senso pieno: l’acqua come cardine dell’esistenza umana a livello spirituale, sociale ed estetico. «Tutto nasce – racconta Alessandro Vanoli, storico e scrittore – da una bocca di fontana a forma di delfino di cui mi sono innamorato. Da storico della cultura, non sono ossessionato dalla bellezza come uno storico dell’arte. Per me un oggetto è bello se racconta una storia. Quella bocca racconta una civiltà intera».

Attraverso oggetti, immagini, libri e miniature, la mostra rivela vita quotidiana, arte e tecnologia che per secoli si sono rispecchiate nelle diverse fruizioni dell’acqua. È un’esperienza immersiva nelle luci e nei suoni, un percorso con installazioni, voci di pioggia e gocce e ruscelli, acqua che sembra scivolare sotto i piedi. Un viaggio nello spazio, nel tempo e nell’anima.

Le opere, circa 120, fra cui bocche di fontana siriane, una brocca iznik del XII secolo, tappeti dal XVI al XIX secolo, una coppa in vetro iraniana del IX-X secolo, uno spargiprofumo del XII secolo dall’India, numerosi manoscritti, vengono dai musei di Oxford, Gerusalemme, Atene, Granada, la Biblioteca Apostolica Vaticana, il Museo del Bargello di Firenze, il Museo delle Civiltà di Roma.

«L’acqua – spiega Vanoli – è una sottotraccia: le zone a maggioranza musulmana sono condizionate dall’acqua o dalla sua assenza. L’acqua è religione e scorre sotto, è profonda, come guardare una città da sottoterra».

La mostra si snoda in quattro sezioni collegate da un pensiero fluido e armonico. «La prima – continua Vanoli – è la religione. Fin dalla rivelazione l’acqua è l’elemento tramite cui Dio agisce con l’umanità, negli aspetti di preghiera, abluzione, rituale e magia». Poi si passa all’hammam, collegamento fra antico e nuovo, strumento di pulizia e spazio di socialità dove intessere rapporti e amicizie e raccontare lo sguardo delle fantasie orientaliste che grondano lussuria. Da questo luogo privato si passa alla casa, all’uso quotidiano con l’acqua da bere o da offrire per mostrare potere e ricchezza. «Il finale va all’esterno coi giardini - dice Vanoli -. L’acqua torna al pubblico come approvvigionamento attraverso le fontane, con valenze sociali, agronomiche, simboliche e religiose. E poi c’è il giardino figura del Paradiso. E si torna al sacro».

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