Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ormai più avversari che alleati, hanno scelto il terreno di scontro sul quale dare il via alla campagna per le Europee: la sicurezza. Gioca in casa il leader leghista, all’attacco quello pentastellato che nella sua strategia aggressiva coinvolge ogni pedina a disposizione, da Palazzo Chigi alla Difesa, fino alla Farnesina. In poche ore, infatti, il capo politico del Movimento boccia prima l’intimazione di Salvini alla Marina sui «porti chiusi» come risposta alla crisi libica (trovando una sponda nello Stato Maggiore dell’Esercito) poi critica la direttiva emessa dal ministro dell’Interno con cui vengono dati, in alcuni casi, «più poteri ai prefetti che ai sindaci - dice Di Maio all’Ansa -. Io sono dell’opinione che chi governa lo scelgono i cittadini. È l’abc della democrazia. Esprimi un voto e poi giudichi al termine del mandato». E nel quartier generale del Movimento 5 stelle, a microfoni spenti, il giudizio sulla direttiva di Salvini è ancora più forte: «Sembra di tornare ai tempi dei podestà fascisti».

Il testo, uscito dal ministero dell’Interno, prevede la possibilità per i prefetti di emanare delle ordinanze per proteggere le cosiddette zone rosse delle città da «persone dedite ad attività illegali», attraverso strumenti «di natura straordinaria, di necessità e urgente», considerati «un prezioso ausilio alle politiche locali in atto». La direttiva ricorda che la sicurezza delle città è prioritariamente una responsabilità dei sindaci, ma - aggiunge - «è stato localmente sperimentato con successo il ricorso a provvedimenti prefettizi che vietano lo stazionamento a persone dedite ad attività illegali, disponendone l’allontanamento». Quando si parla di zone rosse, si intendono quelle aree urbane con una «elevata densità abitativa», dove insistono i «flussi turistici», oppure che si caratterizzano per l’esistenza di «una pluralità di istituti scolastici e universitari, complessi monumentali e culturali, aree verdi ed esercizi ricettivi e commerciali».

Il rimando dei Cinque stelle ai tempi dei podestà fascisti non è un caso. Alludono all’utilizzo di ordinanze, in funzione anti-degrado e contro le illegalità, «adottate dai Prefetti ai sensi dell’art. 2, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773». Ai tempi, quindi, di Benito Mussolini. L’attacco di Di Maio ormai è frontale. Salvini, però, ha un sentiero già tracciato davanti. La direttiva, dice il ministro dell’Interno, aiuterà «i sindaci distratti» a combattere il degrado e le occupazioni abusive, e sarà ricalcata «sull’ ordinanza anti-balordi del prefetto di Firenze Laura Lega». Protesta anche il presidente dell’Anci Antonio Decaro: «Se Salvini ci avesse chiamati - osserva - per affrontare seriamente il problema del degrado urbano nelle città, gli avremmo detto che varare zone rosse è un po’ come mettere la polvere sotto il tappeto: non risolve il problema, lo sposta altrove. E no - aggiunge - non siamo distratti. Quello distratto sembra piuttosto il ministro, visto che sembra aver dimenticato che i prefetti hanno competenza esclusiva su ordine pubblico e sicurezza, e per occuparsi di questi temi non hanno bisogno di nessuna circolare ministeriale né di commissariare nessuno. Noi - conclude il presidente dei sindaci - amministriamo ogni giorno, tra mille difficoltà e non abbiamo bisogno di essere commissariati da nessuno».

Salvini, che non risponde direttamente alle critiche, rilancia la notizia di una rissa tra immigrati nel quartiere Gad di Ferrara, con coltellate tra un albanese e due nigeriani. «Il 3 maggio sarò in città - annuncia via social - e nelle prossime ore inviterò tutti i prefetti una direttiva per cacciare i balordi dalle città. Dove non arrivano i sindaci, arriviamo noi».

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