La buona notizia è arrivata da Mindong, città della provincia cinese del Fujian. La mattina del Giovedì santo, alla concelebrazione della messa crismale, presieduta dal vescovo Vincenzo Zhan Silu, ha preso parte con le insegne episcopali anche Vincenzo Guo Xijin, vescovo ausiliare della stessa diocesi.

Nell’attuale passaggio storico vissuto dalla cattolicità cinese, la semplice partecipazione di Vincenzo Guo con le insegne episcopali alla messa crismale del Giovedì Santo – la celebrazione liturgica che a Roma e in tutto il mondo manifesta la comunione dei sacerdoti e di tutta la diocesi intorno ai propri vescovi – ha finito per assumere rilievo, come indizio per registrare e valutare i primi passi del cammino iniziato dopo l’accordo provvisorio tra Santa Sede e governo di Pechino sulle nomine dei vescovi cinesi.

La situazione canonica della diocesi di Mindong – insieme a quella della diocesi di Shantou – ha tenuto per lungo tempo impegnati i negoziatori delle due parti che lavoravano a quell’accordo. Prima di arrivare alla firma, occorreva normalizzare canonicamente la condizione dei vescovi cinesi “illegittimi”, ordinati in precedenza senza il consenso del Papa. Vincenzo Zhan era uno di loro, avendo ricevuto l’ordinazione episcopale illegittima come vescovo di Mindong: ma in quella stessa diocesi, Vincenzo Guo era già stato ordinato come vescovo con il consenso della Santa Sede, pur non essendo riconosciuto come tale dagli apparati politici.

Per trovare una soluzione canonica a Mindong, il vescovo Guo, su richiesta della Santa Sede, aveva rinunciato con generosità al suo ruolo di vescovo ordinario della diocesi. Vincenzo Zhan, dopo aver chiesto e ottenuto dal Papa il perdono e la legittimazione della sua ordinazione episcopale, aveva preso il posto di Guo alla guida della Diocesi di Funing-Mindong, mentre lo stesso Guo aveva accettato di assumere l’ufficio di vescovo ausiliare di quella stessa circoscrizione ecclesiastica. Tale nuova sistemazione era stata ufficialmente resa pubblica in un articolo pubblicato su L’Osservatore Romano del 2 febbraio scorso

Nelle ultime settimane, la rete dei critici dell’accordo Cina-Santa Sede avevano rilanciato le voci secondo cui le autorità politiche locali avrebbero impedito a Guo di essere presente alla messa crismale presieduta dal vescovo Zhan. Invece, la concelebrazione dei due vescovi, circondati da più di 50 sacerdoti, ha dissipato i falsi allarmismi.

Un eventuale veto politico alla presenza del vescovo Guo alla messa del crisma - come prospettato dalle voci poi rivelatesi infondate – avrebbe fatalmente provocato preoccupazione anche nei Palazzi vaticani. Guo non è stato ancora formalmente registrato come Vescovo presso l’amministrazione statale degli affari religiosi, e è in corso un confronto con le autorità locali intorno alla modalità del riconoscimento del suo ufficio episcopale da parte delle autorità civili. Ma il suo status di vescovo ausiliare era stato ribadito in più occasioni e non era stato messo in discussione da nessuno nel corso dei colloqui tra i rappresentanti del governo cinese e quelli della Santa Sede. Già prima dell’ultimo Natale, il vescovo Vincenzo Guo Xijin aveva comunicato ai sacerdoti “clandestini” (non registrati presso gli apparati politici cinesi) il nuovo assetto canonico della diocesi, ora guidata dal vescovo Zhan potevano iniziare a registrarsi presso gli organismi governativi.

Il vescovo Zhan si è recato da Guo per ringraziarlo della sua sollecitudine pastorale, e i due vescovi hanno cominciato a collaborare nell’opera di annuncio del Vangelo. Il 15 dicembre, il vescovo Guo aveva anche esercitato il suo ministero episcopale ordinando un sacerdote a Kengyuan. In quell’occasione, Guo aveva chiesto a un sacerdote della comunità “ufficiale” di prendere parte alla concelebrazione, mostrando la sua sollecitudine nel contribuire al processo di riconciliazione sacramentale in atto nella Chiesa in Cina. Un eventuale impedimento governativo alla sua partecipazione alla messa crismale di Mindong sarebbe apparso come un passo indietro sul cammino intrapreso dai cattolici cinesi e dai loro pastori. Invece la concelebrazione di Guo con il vescovo Zhan, avvenuta nella chiesa nuovissima dedicata ai Santi Pietro e Paolo, è stata definita anche da Vaticannews come «Un segno significativo per l’unità della Chiesa, che attesta anche la volontà delle autorità di Pechino di tener fede all’Accordo provvisorio siglato con la Santa Sede lo scorso settembre».

Il cammino e gli incidenti di percorso

Le comunità cattoliche cinesi hanno iniziato il triduo pasquale avendo ben presente che la fase di transizione attraversata è disseminata di segnali ambivalenti. Durante la quaresima, tra il 9 e l’11 aprile nelle diocesi di Jining (Mongolia interna) e Hanzhong (Shaanxi) il clero e altri rappresentanti della Chiesa locale avevano eletto per votazione come possibili nuovi vescovi padre Antonio Yao Shun (54 anni) e Stefano Xu Hongwei (44 anni). In ambedue i casi, i due sacerdoti già godono della approvazione della Santa Sede come candidati all’episcopato, e con buona probabilità saranno loro due i primi sacerdoti cinesi a essere ordinati vescovi dopo l’Accordo provvisorio tra governo di Pechino e Santa Sede firmato lo scorso 22 settembre.

In diverse diocesi, come quella di Baoding, anche sacerdoti cosiddetti “clandestini” hanno partecipato alle messe crismali celebrati da vescovi riconosciuti dal governo. In altre situazioni controverse, le autorità politiche continuano a rendere la vita difficile a vescovi e sacerdoti, facendo pressioni per ottenere da loro l’iscrizione all’Associazione patriottica.

C’è chi prende spunto da incidenti di percorso – come le demolizioni di edifici di culto spesso costruiti senza i permessi richiesti – per denigrare la strada del confronto con le autorità politiche di Pechino intrapresa dalla Santa Sede, che ha portato alla firma dell’accordo sulle nomine dei futuri vescovi cattolici nella Repubblica popolare cinese. Mentre tanti cattolici cinesi riconoscono che non si possono oscurare i frutti oggettivi e ecclesialmente determinanti già arrivati dopo l’accordo: la piena e pubblica comunione gerarchica di tutti i vescovi cinesi con il Successore di Pietro, e l’inizio di processi di riconciliazione in comunità divise da decenni di contrapposizioni.

«Sappiamo che ci sono tanti problemi da affrontare», confida a Vatican Insider Maria Zheng, cattolica di Pechino, «ma sappiamo anche che il Papa è stato attaccato anche duramente per l’accordo sulle nomine dei vescovi. Per me questo accordo è un dono che i cattolici cinesi vogliono proteggere con la pupilla dei loro occhi, anche con la riservatezza, sfuggendo alla trappola delle polemiche prevenute».

I commenti dei lettori