Omosessualità e cinema. Un connubio che per tante ragioni e in molti modi suona bene. E un po’ del merito ce l’ha anche un rassegna tutta torinese come «Lovers», festival dedicato alle pellicole che trattano temi lgbt, ma anche manifestazione che ha segnato una riscossa, in quel 1986 che ne ha visto la nascita e, da allora, è diventato appuntamento immancabile in cui ritrovarsi e fare il punto. Succede, per dire, a Giziana Vetrano, di professione educatrice, coordinatrice del Torino Pride, dal 2017 sposata con l’insegnate Donatella Rossi, nonché mamma di Tommaso, nove anni e mezzo. Giziana si racconta senza ritrosie né esibizionismi, senza nascondere la gioia di ogni conquista, ma neppure gli intoppi lungo un percorso ancora certamente perfettibile.

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Lovers è alle porte. In che misura questa rassegna ha cambiato la vita della vostra comunità?

«È stata determinante. Quando nacque, a Torino noi vivevamo quasi nascosti: non c’erano manifestazioni, occasioni di visibilità, la mentalità era quella che era. Il festival con il suo titolo forte, “Da Sodoma a Hollywood” e il suo manifesto in cui Charlie Chaplin toccava il capezzolo di Frankenstein, accese un arcobaleno dandoci diritto di cittadinanza. In un’epoca in cui scarseggiavano persino i locali dove incontrarsi. C’era giusto un sotterraneo in via Principessa Clotilde, oppure toccava andare fino a Borgaretto. Altro non c’era»

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E oggi?

«Oggi c’è l’imbarazzo della scelta, tra iniziative e posti di ritrovo frequentati da etero e gay. Dal Centralino a Queever, da Portafortuna a Lady Retrò. Ma non è solo questione di luoghi in cui socializzare. Basti dire che a maggio faremo una festa delle famiglie in piazza Carlo Alberto ed è il Comune a concedercela. Non solo: a Torino, il primo Pride fu organizzato nel 2006, mentre quest’anno in Piemonte se ne terranno ben cinque: si parte l’11 maggio a Vercelli, il 15 giugno toccherà a Torino e poi ad Asti, Alessandria e Novara. Tutte occasioni che coniugano il clima della festa con l’impegno politico e sociale, anche su temi come ius soli e immigrazione, perché poco valgono i diritti civili in una società malata di razzismo».

In base alla sua storia, pensa che Torino sia una città che discrimina gay e famiglie arcobaleno?

«Direi di no. Io ho scoperto la mia omosessualità attorno ai vent’anni. All’epoca non capivo cosa mi stesse succedendo: sembrerà strano, ma presi coscienza ascoltando la canzone “Pensiero stupendo” di Patty Pravo. Non ho avuto grossi problemi quando ho fatto coming out neanche nella mia famiglia, al matrimonio sono venuti tutti. Un solo incidente: una volta ero all’ospedale e il medico, invece di fare riferimento a mia moglie, si rifiutò di parlarle. L’attuale stato delle cose autorizza chi non abbia una visione particolarmente aperta a comportarsi in modo oscurantista».

Cosa auspicate, dunque?

«Una legge nazionale che permetta il riconoscimento dei figli e/o il matrimonio egualitario. Noi, oggi, a Torino siamo fortunati perché il sindaco ha permesso che i figli di coppie gay fossero registrati all’anagrafe da entrambi i genitori, ma non è così in tutta Italia. Crediamo che lo Stato dovrebbe tutelare i bambini e riconoscere le situazioni che si creano, invece di voler imporre un modello. Manca anche una legge contro l’omofobia, che limiti episodi di razzismo o bullismo. Ma si tratta anche di un problema culturale: da un po’ di tempo in qua, l’odio contro il diverso sembra sdoganato».

Quanto al piccolo Tommaso, è mai stato preso di mira?

«È capitato, qualche volta che un bambino, magari ripetendo quel che sentiva dire in casa, abbia sottolineato la differenza della nostra famiglia da quelle della maggioranza, ma mio figlio ormai è capace di difendersi da solo. D’altronde, lui sa tutto della sua nascita, conosce il nostro amico che ha donato il seme, ma la sue genitrici siamo e restiamo io e Donatella. In più, lui ha partecipato alle nostre lotte e respirato un clima che ha generato in lui una discreta antipatia per le discriminazioni. E non solo quelle di genere».

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