Arrivarci non è stato facile ma alla fine il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato lo scorso 23 aprile una risoluzione per contrastare lo stupro come arma di guerra. Tredici sono stati i voti a favore della risoluzione, la numero 1325, due invece le astensioni di Russia e Cina. Per poco si è rischiata l’astensione anche degli Stati Uniti che si sono messi di traverso perché contrari ad alcuni riferimenti all’assistenza alla «salute riproduttiva». Secondo Washington tali parti nascondevano il diritto ad abortire per le donne vittime di abusi (categoria che sottintende anche la prostituzione o il fenomeno delle schiave sessuali). 

Dopo un braccio di ferro non facile, il testo è stato infine emendato da tali riferimenti, ricevendo perciò il consenso degli Usa. I quali, insieme a Cina e Russia, hanno chiesto e ottenuto il taglio di un’altra importante parte della risoluzione, quella relativa all’istituzione di un nuovo meccanismo per monitorare e segnalare tali atrocità che, dall’Africa al Medio Oriente all’America Latina, non hanno risparmiato nessuna guerra. 

 

Al dibattito hanno preso parte, tra gli altri, il segretario generale António Guterres e i premi Nobel per la pace Nadia Murad, la giovane e coraggiosa yazida rapita, tenuta in ostaggio e violentata dai miliziani dello Stato islamico, e Denis Mutwege, il medico della Repubblica Democratica del Congo specializzatosi proprio nella cura delle donne vittime di violenze sessuali. Presente anche Amal Alamuddin, avvocatessa attivista dei diritti umani, moglie del noto attore George Clooney, che ha denunciato «l’epidemia di violenza sessuale», il cui unico antidoto è «la giustizia».

Non è mancata inoltre la voce della Santa Sede tramite l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente vaticano presso le Nazioni Unite di New York, che nel suo discorso - prima del voto - ha richiamato l’attenzione su un altro aspetto, per nulla secondario, della questione: la tutela dei bambini nati dalle violenze.

Anzitutto l’arcivescovo - riferisce Vatican News - ha ribadito la ferma condanna per queste «atrocità inaccettabili» commesse da terroristi e bande armate, ma spesso anche da eserciti regolari. Compresi, in certi casi, i militari inviati dalle Nazioni Unite che invece di «servire la nobile causa della pace e della sicurezza» chiedono prestazioni sessuali a minori e donne del luogo in cui si svolgono operazioni di peacekeeping (l’ultimo scandalo del genere risale al febbraio 2018 in Sud Sudan).

Tutto questo è inaccettabile, ha affermato Auza: «Il silenzio e l’impunità nei confronti di questi crimini devono finire e lasciare il posto alla responsabilità, alla giustizia e alla riparazione».

Accanto a questo, il delegato vaticano ha chiesto che i «diritti umani» dei bambini, frutto di stupri nelle aree di conflitto, siano «rispettati e garantiti, come per qualsiasi altro bambino». «Secondo la Santa Sede, queste giovani vite innocenti devono essere accolte, amate, non stigmatizzate o rifiutate. Tanto meno deve essere loro negato il diritto di nascere», ha ribadito con forza Auza.

Da qui l’auspicio che l’attenzione richiamata dal dibattito all’Onu su tale tema così drammatico possa aiutare «i sopravvissuti e le vittime a trovare la guarigione e la speranza» e che serva alla «istituzione di più solidi meccanismi per portare davanti alla giustizia chi ha commesso queste violenze» che, come affermato nella Convenzione di Ginevra, sono «crimini contro l’umanità».

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