Il «terzierismo» di Giuseppe Conte, «né con Sarraj né con Haftar, ma con il popolo libico», annunciato durante la missione in Cina, è letto a Tripoli come un «pericoloso» riposizionamento del governo giallo-verde sul suo più importante dossier di politica estera. Col rischio di «sonore ripercussioni» sugli interessi italiani in Libia, dai migranti alle commesse petrolifere. È quanto riferiscono a La Stampa fonti vicine al Consiglio presidenziale di Tripoli, secondo cui l’uomo forte della Cirenaica è «un criminale di guerra che ha aggredito la capitale e i suoi tre milioni di abitanti bombardando i civili».

Pertanto il governo di accordo nazionale vuole capire chi è con e contro di lui: «Le posizioni neutre non sono ammesse». Conte, da parte sua, cercava in Abdel Fattah Al Sisi (e in Vladimir Putin) un conforto per scongiurare la carneficina libica. Ha trovato nel presidente egiziano la certezza che sia il terrorismo l’unico obiettivo da abbattere e che Haftar sia l’unico in grado di farlo. Il governo italiano deve fare i conti con questa convinzione. I jihadisti che bussano alle porte d’Egitto sono gli stessi che potrebbero venire a bussare alle porte dell’Italia. E di rischio di «una trasmigrazione di terroristi dalla Tunisia all’Italia» parla chiaramente il premier italiano da Pechino. L’altra convinzione è che «una soluzione alla crisi non c’è: sulle modalità più efficaci per stabilizzare la Libia ancora ci interroghiamo».

Così i sospetti di un cambio di linea dell’Italia aumentano a Tripoli, che ad ora non accetta mediazioni o tregue con l’uomo forte della Cirenaica. «E non lo farà sino a quando Haftar non sarà tornato a Bengasi con tutta la sua armata», che peraltro, al di là dei proclami della presa della capitale in 48 ore, sta registrando battute d’arresto su tutti i fronti. Tanto che il ministro dell’Interno del Gna Fathi Bashaga, ha annunciato l’inizio della quarta fase del conflitto, un contrattacco su vasta scala e di forte magnitudo entro 48 ore. In un contesto del genere, avvertono da Tripoli, «l’Italia deve fare bene i suoi calcoli, visto che gli interessi nazionali sono principalmente in Tripolitania, a partire dall’impianto Eni di Mellitah, e dalle commesse energetiche, che vengono cogestite con la Noc, autorità petrolifera nazionale che, come la Banca centrale, risponde a Sarraj».

Oltre al fatto che il suo presidente, Mustafa Sanallah, è in aperto contrasto con Haftar. C’è poi l’ambasciata e la missione militare di Misurata con l’ospedale e 400 uomini a presidio di cui il generale ha chiesto il ritiro immediato. Fuori discussione, replica lo stesso Conte da Pechino. L’Italia, assicura, «non vuole interferire nelle attività belliche in corso e mai lo farà». I militari italiani «non danno supporto ad attività militari o paramilitari», ma continueranno «a curare combattenti feriti non solo dell’esercito di Sarraj e Misurata, ma anche di Haftar». C’è di più. Conte afferma che potrebbe arrivare un aiuto via mare per i feriti dell’Esercito nazionale libico del generale. Infine: «Siamo pronti – dice il premier - a pre-identificare i soggetti per escludere terroristi. Non accetteremo chiunque e non vogliamo essere il supporto medico per terroristi». Proprio nella città-stato di Misurata sarebbe giunto via mare un gruppo di militari statunitensi proveniente dalla Tunisia. Africom smentisce la movimentazione di truppe, ma non è escluso che possa trattarsi di un riposizionamento tattico relativo alle attività antiterrorismo che hanno visto gli Usa a sostegno di Sarraj sin dalla guerra di Sirte del 2016 contro l’Isis. Sostegno che sul campo è stato confermato da funzionari Usa che hanno incontrato rappresentanti del consiglio presidenziale libico proprio in Turchia nei giorni passati.

Tornando alle affermazioni italiane, sono state accolte con diffidenza a Tripoli, dove sono convinti che il riallineamento italiano non sia avulso dalla telefonata tra Donald Trump e Haftar, e dall’incontro del 19 aprile tra il ministro degli Esteri Enzo Moavero e il collega francese Jean-Yves Le Drian, il quale ha affermato che tra Roma e Parigi le «nubi si sono diradate», specie sul dossier libico. «Conte così rischia di fare il gioco della Francia che vuole allontanare l’Italia da Tripoli, e con la quale il Consiglio presidenziale non ha esitato a interrompere le relazioni». Sull’altare dell’Eliseo, l’Italia ha già sacrificato il suo ex ambasciatore Giuseppe Perrone, sgradito al generale ex gheddafiano «amico» di Emmanuel Macron. L’ultima chiosa infine sui migranti: «Quando il problema si ripresenterà il terziersita Conte a chi andrà a bussare, a Sarraj o ad Haftar?».

I commenti dei lettori