Ora i mesi sono tre. Dal 5 febbraio l’Italia del governo gialloverde non ha un ministro degli Affari Europei, succede da quando Paolo Savona è stato designato alla testa della Consob. Non che il controverso economista sardo avesse fatto un gran che - mai visto a Bruxelles in sette mesi di mandato -, ma il trascorrere delle settimane aggrava la situazione e accelera la trasformazione del danno in una beffa. Il portafoglio è attribuito al presidente del Consiglio che, naturalmente, ha altro per la testa, mentre i funzionari del dicastero fanno quello che possono senza guida politica. Nella fase attuale, nell’imminenza del cambio di legislatura a dodici stelle, la situazione è una delle più brutte fra le peggiori: è una mancanza che non possiamo permetterci senza soffrire.

Il responsabile delle politiche comunitarie ha due ruoli principali. Anzitutto, partecipa ai consigli dei ministri in cui si decide, fra le altre cose, la manutenzione del mercato interno, dunque dei dossier “tecnici” che più rapidamente incidono sulle vite dei cittadini. Quindi, è l’allenatore della nazionale italiana nelle istituzioni Ue, l’uomo (o la donna) che - d’intesa con la Farnesina se ci riescono - gestisce la presenza dei nostri funzionari nelle istituzioni di Bruxelles. Se non c’è, la voce italiana fatica a farsi sentire.

Un esempio? Eccolo.

A novembre, salvo slittamenti ritenuti possibili, entra in in scena la nuova Commissione. Saranno formati 27 gabinetti (o 28 con i britannici) e selezionati capo, sottocapi e componenti. «Chi va dove» è un risiko che, con l’organigramma di Consiglio e Commissione in mano, nelle altre capitali gli ex colleghi di Savona stanno già giocando. Il mercato degli incarichi è aperto e i paesi più grandi sono in pole position. E noi? Noi siamo figli di una politica euroscettica e autolesionista che accusa Macron di stabilire misure penalizzanti per la pesca delle ormai mitiche “zucchine di mare” italiane. Sciocchezze.

Ci vorrebbe al più presto un ministro o una ministra che conosca bene Bruxelles, le regole e le lingue, che vada a fare ordine nelle nostre cose, per difendere l’Europa o per cambiarla, ma soprattutto per evitare che l’Italia resti ai margini come non merita un grande Paese. Più siamo assenti, meno contiamo. Meno contiamo, più decidono gli altri senza pensare a noi. O ai nostri frutti di mare, esistenti o fantasiosi che siano.