Il giorno dell’angoscia è bagnato dalla pioggia e dalle lacrime dei familiari di Noemi. L’intervento per estrarre quel micidiale proiettile calibro nove full metal jacket è durato oltre tre ore, è andato bene ma i medici sono cauti: «Le condizioni sono molto gravi, le prossime 48 ore saranno decisive», ripetono ai parenti che oltre il vetro guardano la loro piccolina distesa su un letto della terapia intensiva dell’ospedale pediatrico Santobono. Nel cuore della notte i chirurghi hanno fatto un lavoro straordinario, lei però ha solo 4 anni e ha avuto il torace devastato da un killer troppo drogato o troppo incapace per raggiungere il suo obiettivo: uccidere il pregiudicato 32enne Salvatore Nurcaro, rimasto ferito così come (leggermente) anche la nonna della bimba.

Il direttore del nosocomio Annamaria Minicucci ha poi ulteriormente chiarito: «Sarà decisiva la tenuta dei polmoni, entrambi attraversati dal proiettile di grosso calibro». Noemi è intubata, in coma farmacologico, monitorata e controllata continuamente. Lotta per sopravvivere. Le infermiere la scrutano, nonostante l’esperienza appaiono turbate. Su una panca, i genitori sono bloccati in una muta disperazione. Il silenzio avvolge l’intero reparto come una cappa di tempo sospeso. Il riserbo è doveroso. A parlare sono gli occhi gonfi e lo sguardo smarrito della mamma, una donna minuta che pare sopraffatta, sperduta. Era con la bimba quando è scoppiato l’inferno, l’altro ieri pomeriggio in piazza Nazionale. L’avevano portata a giocare nei giardinetti è finita che una pallottola vagante per qualche millimetro non ha spaccato il cuore o tranciato la spina dorsale. Un miracolo, ripetono le donne del quartiere, sommessamente perché il pericolo non è passato. Gli uomini invece alzano la voce: «Mo’ voi giornalisti scriverete del Far West e i politici faranno le loro sparate di indignazione e promesse, poi tutto tornerà come prima, come è sempre stato», dice un anziano puntando l’indice.

Esasperato anche chi gli sta vicino: «Poteva essere mia nipote. Stavolta è successo qua, l’altra volta di fronte a un asilo, il vero miracolo è che a Napoli non ci sia una vittima innocente alla settimana». Il riferimento è alla sparatoria avvenuta il 9 aprile scorso a pochi metri da un istituto per l’infanzia di San Giovanni a Teduccio, dove un uomo fu ucciso davanti al nipotino di 4 anni, sfiorato dalle pallottole (a terra, vicino al cadavere, rimase il suo zainetto di Spiderman). Ieri, mentre Noemi era ancora sotto i ferri, un blitz ha portato all’arresto di 7 uomini proprio per quell’omicidio, tutti del clan Mazzarella, una delle cosche storiche della città (all’opera da circa mezzo secolo), responsabile anche del raid in piazza Nazionale, che peraltro è stato perpetrato in territorio nemico, nel feudo dei loro più acerrimi nemici, i Contini, altra famiglia in auge da decenni (tra i fondatori del cartello noto come Alleanza di Secondigliano). Un gesto simbolico, un messaggio: possiamo colpire pure in casa vostra.

Qualche ora dopo è arrivato un altro segnale emblematico, stavolta da parte dello Stato: il questore Antonio De Iesu e il comandante provinciale dei carabinieri Ubaldo Del Monaco hanno tenuto una conferenza stampa davanti alla scuola del Rione Villa (regno del clan Rinaldi), nel corso della quale sono stati illustrati anche altri 5 arresti per fatti di camorra. Nel pomeriggio, durante le funzioni per il prodigio del sangue di san Gennaro (regolarmente avvenuto), nel Duomo si è alzata la voce del cardinal Crescenzio Sepe: «Il sangue innocente grida vendetta al cospetto di Dio». Un anatema, non il primo e, con ogni probabilità, nemmeno l’ultimo.

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