«Come presenterei ai miei fedeli di Malta il nuovo Motu Proprio del Papa? Semplice. Spiegherei che il Papa vuole che quando c’è un problema dobbiamo parlare, perché il silenzio o coprire i misfatti non è il giusto atteggiamento. E che anche se io sono il vostro pastore,  non sono al di sopra della legge. I vescovi sono al servizio della gente, non immuni dalla legge, se fanno del male devono essere denunciati e sottomessi alle procedure come tutti gli altri». 

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In queste poche ma chiare parole dell’arcivescovo di Malta Charles Scicluna, ex pm vaticano sui casi di abusi, attualmente segretario aggiunto della Congregazione per la Dottrina della Fede, si sintetizza tutto il messaggio del Motu Proprio del Papa pubblicato oggi “Vos estis lux mundi”. Il prelato, tra le principali voci al Summit di febbraio sulla pedofilia, ha presentato il documento in Sala Stampa vaticana insieme a monsignor Juan Ignacio Arrieta, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. E rispondendo alle domande dei giornalisti ha chiarito: «Qui non si tratta di inventare la ruota o di fare un commento su leggi penali che già abbiamo ma di fornire procedure e indicazioni su ciò che si deve fare per denunciare e poi per l’investigazione della leadership».

Monsignor Scicluna, con questo Motu Proprio la Santa Sede ha fatto tutto il possibile per la lotta agli abusi oppure ci sono ancora passi da fare?

«È un tassello molto importante nella ferma volontà del Papa di dare una risposta adeguata a questo triste fenomeno. Già nelle parole introduttive a questa legge universale, promulgata oggi ma in vigore dal prossimo 1° giugno, il Papa dice che contrastare gli abusi e anche comportamenti indegni è responsabilità di tutti e che bisogna farlo in modo ecclesiale. Il Papa ci dà una procedura per contrastare i reati o condotte illecite della leadership della Chiesa, vescovi ma anche superiori religiosi. È molto importante la prima parte che chiede di instaurare una struttura di accoglienza e di ascolto in ogni diocesi entro un anno e dà obbligo ai chierici di denunciare ogni tipo di comportamento inappropriato. Con questo documento non si risolve tutta la lotta ma è un tassello molto importante».

Ha detto “un tassello”. Quindi ci sarà un prossimo passo, qual è?

«Abbiamo detto in occasione del vertice di febbraio che c’è, per esempio, la volontà di dar vita a gruppi di esperti che aiutino gli episcopati a sviluppare linee guida là dove mancano. Poi io spero che si possa dare un ruolo più attivo alle vittime nei processi penali canonici».

Concretamente come?

«Per esempio che ci sia un procuratore che pensa anche agli interessi delle vittime, perché adesso, per come stanno le cose, non hanno nemmeno il diritto di ricevere copia della sentenza. È vero che riguarda il reo ma, secondo me, anche la vittima deve essere informata. È interessante che già adesso si sta sviluppando la possibilità del metropolita di dare alle persone che hanno denunciato informazioni sull’esito delle indagini. Un aspetto del genere stabilito da una legge universale credo che sia un passo importante».

Lei ha parlato di sportelli per le denunce. Ci sono diocesi che non sono dotate neppure di sportelli Caritas, come pensate che entro un anno una struttura del genere possa diventare operativa e che nelle diocesi ci siano le forze per farla?

«Secondo me, in questo caso entra in gioco il ruolo delle Conferenze episcopali, ma anche del rappresentante del Papa per un Paese, ovvero il nunzio apostolico. Proprio il nunzio ha il dovere di portare presso le singole diocesi non solo la volontà del Papa ma anche il dovere di seguire le indicazioni di una legge universale. Poi, secondo me, se la gente ha il diritto di denunciare gli illeciti, ha il diritto di denunciare anche il fatto che, dopo un anno, non si è fatto niente. Il nunzio, prima del 1° giugno 2020, deve ricordare a tutte le diocesi che devono fare qualcosa. Ormai tutti sono obbligati: non è un optional, è un’indicazione del Papa e anche molto chiara». 

Le vittime possono dirsi soddisfatte?

«Le vittime saranno soddisfatte se dalla legge si passa ad una nuova cultura. Non andrei mai da una persona che ha sofferto presentando il pezzo di carta e dicendo “abbiamo risolto tutto!”. La gente necessita risposte concrete. Per questo alla stessa gente dico: aiutate il Papa perché questa sua volontà diventi realtà nelle vostre diocesi».

Che cosa impedisce alla Chiesa di definire una norma che impone l’obbligo di denuncia anche alle autorità civili, pure nei Paesi che non lo prevedono?

«La Santa Sede redigendo una legge universale deve ricordarsi della diversità delle culture e delle scelte che fanno le autorità civili. Per cui dare un tipo di normativa universale, che incide sull’esercizio del cittadino e dei suoi diritti nei confronti del proprio Stato è un’ingerenza. Lo Stato ha l’obbligo di dire ai cittadini qual è la legge domestica. Pertanto quello che deve dire la Chiesa è che nessun impegno ecclesiale, nessun tipo di lealtà alla Chiesa, deve impedire al cittadino di obbedire al proprio Stato. Questo è un principio che la Chiesa ha il dovere di affermare, perché nel passato abbiamo avuto casi tristissimi dove la gente dice: noi vogliamo proteggere la Chiesa, non parliamo. È inaccettabile! Il bene della Chiesa richiede la denuncia e anche che uno rispetti la legge civile». 

Perciò se ci sono delle lacune dovrebbero essere gli Stati a colmarle…

«Esatto, bisogna rispettare le sensibilità locali. Io non oserei mai dire ad uno Stato cosa deve fare, lo Stato sa cosa deve fare. Il mio dovere di dire ai cattolici che noi dobbiamo obbedire la legge civile. Tra le autorità della Chiesa e quelle civili deve esserci la determinazione a lavorare insieme per debellare questo fenomeno tristissimo che in tutte le civiltà è crimine statale e un peccato davanti a Dio».

Un’obiezione già emersa a febbraio è che il cardinale Theodore McCarrick era un metropolita: un arcivescovo metropolita è una garanzia sufficiente? Tanto più che l’allora cardinale Ratzinger per garantire l’autonomia delle indagini sugli abusi ed evitare che, lasciate a chiese locali o altri Dicasteri, non fossero abbastanza rigorose, aveva accentrato le procedure canoniche sui delicta graviora nella Congregazione per la Dottrina della Fede...

«Garante di queste procedure rimane la Santa Sede anche perché il metropolita deve subito avvisare la Santa Sede o, se è lui l’imputato o l’accusato, tale compito tocca al suffraganeo più anziano di ordinazione. La Santa Sede rimarrà sempre il punto di riferimento. È l’istituzione che deve giustamente garantire l’efficacia della procedura. Senza questa indicazione, senza questa responsabilizzazione del metropolita, non escluderei i rischi di cui lei parla. La Santa Sede, anche come servizio al ministero del Papa, deve farsi garante dell’efficacia dell’intervento».

Per Santa Sede si intende in sostanza la Congregazione per la Dottrina della Fede e per i nunzi la Segreteria di Stato?

«No, le nuove normative parlando anche di altri Dicasteri: Propaganda Fide, la Congregazione per il clero, quella per i vescovi, per la vita consacrata, la Congregazione per le Chiese orientali per i patriarchi. Dipende molto dal tipo di leadership coinvolta».

Ma il semplice fedele come fa ad orientarsi? A chi si rivolge della “Santa Sede”?

«Il nunzio apostolico, in quanto egli rappresenta la sollecitudine del Papa per il popolo di un Paese concreto. Non pretendiamo che un fedele sappia cosa dice il Motu Proprio pubblicato oggi, ma almeno deve sapere che nel nunzio c’è una persona che rappresenta il Papa al quale può rivolgersi per consiglio e aiuto».

Non sarebbe più utile, in vista anche dei processi, istituire un unico ufficio che si occupi nell’interezza di questi casi?

«Non penso che sia prudente centralizzare tutto, perché tutti i Dicasteri hanno la stessa finalità che è aiutare il Papa a fare il suo dovere. Poi il Santo Padre gestisce la sua giurisdizione con l’aiuto delle Congregazioni a seconda dei soggetti: per cui la Congregazione dei vescovi non deve occuparsi del superiore di un ordine religioso. Ogni Dicastero ha la saggezza prudenziale di vedere tutto nel contesto di propria competenza. Per esempio, la Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli ha un’esperienza incredibile nelle cosiddette terre di missione; nessun ufficio centralizzato potrebbe supplire a quell’esperienza, quei contatti... Per cui io lascerei la norma così com’è, in modo che tutti prendano un pezzo di questo pane amaro».

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