Papa Francesco ha consegnato alla presidente dell’Unione internazionale delle superiori generali (Uisg) le conclusioni della commissione che aveva formato proprio su sollecitazione di un interrogativo delle religiose, tre anni fa, sulla possibilità di introdurre il diaconato femminile, sottolineando che, a causa delle divergenze tra i teologi che ne hanno fatto parte e del «poco» su cui tutti concordavano, «non è granché ma è un passo avanti», evidenziando che bisogna approfondire ulteriormente la questione e avvertendo che egli non può «fare un decreto sacramentale senza fondamento teologico-storico» e che, più in generale, «non possiamo andare oltre la rivelazione e l’esplicitazione dogmatica» perché, «se il Signore non ha voluto il ministero sacramentale per le donne, non va».

Francesco ha definito l’abuso sessuale delle suore «un problema grave, serio» del quale è «cosciente» e che è presente «anche a Roma» e, allargando il discorso al più generale problema dell’abuso di potere e di coscienza, ha scandito: «Servizio sì, servitù no», una donna non sceglie l’abito «per diventare la domestica di un chierico», e su questo «aiutiamoci mutuamente», ha detto il Papa alle religiose, «possiamo dire di no, ma se la superiora dice di sì...».

«Io oggi consegno ufficialmente alla presidente il risultato del poco a cui sono arrivati in accordo tutti (i membri della commissione, ndr), poi io ho con me la Relatio personale di ognuno, posso nel caso darle se a qualcuno interessa, uno che va più avanti, uno che si ferma lì, e si deve studiare questo», ha detto il Papa nel lungo scambio a braccio che ha avuto con le 850 religiose di tutto il mondo riunite in questi giorni a Roma per la loro ventunesima assemblea. «Io non posso fare decreto sacramentale senza fondamento teologico storico», ha scandito Francesco.

Proprio in risposta ad una sollecitazione dell’assemblea dell’Uisg del 2016, il Papa aveva fondato una “Commissione di Studio sul Diaconato delle donne”. «Quando voi mi avete suggerito di fare una commissione – l’idea è stata vostra – ho detto sì, ho fatto una commissione, che ha lavorato bene, tutti in gamba, uomini e donne teologi, e sono arrivati fino a un certo punto tutti d’accordo, poi ognuno aveva la propria idea», ha raccontato il Pontefice. La commissione, insomma, ha «lavorato abbastanza, è vero, il risultato non è granché, ma è un passo avanti. Certo, c’era una forma di diaconato femminile nel principio, soprattutto in Siria e in quella zona, ma, l’ho detto sull’aereo, aiutavano nel Battesimo, nei casi di scioglimento dei matrimoni, e la forma di ordinazione non era la formula sacramentale, era per così dir come – questo è quello che mi dice l’informativa, io non sono perito – come oggi è la benedizione abbaziale di una badessa, una benedizione speciale per il diaconato. Andrà avanti, di qui a un tempo io potrei dar chiamare i membri della Commissione e vedere come sono andati avanti. Hanno fatto un bel lavoro e grazie».

Sulla funzione della Chiesa «dobbiamo andar avanti nella domanda: qual è il lavoro della donna e della donna consacrata nella Chiesa», ha proseguito il Papa, «non sbagliare pensando che solo sia un lavoro funzionale: può darsi che lo sia – capa dicastero, a Buenos Aires avevo una cancelliera… - ma andare oltre le funzioni, e questo ancora non è stato maturata, ancora non abbiamo capito bene». La Chiesa, ha insistito il Papa, «è femminile, è donna».

Francesco è tornato sull’argomento in risposta alla domanda di una religiosa di lingua tedesca, che ha espresso l’auspicio che la commissione papale approfondisca ulteriormente per affrontare la questione delle donne diaconesse «non solo sulla base della storia, della dogmatica, della rivelazione, ma anche della forza gesuana, di come Gesù si accompagnava alle donne, e di cosa l’umanità ha bisogno oggi nel 22esimo secolo». «È vero», ha risposto Jorge Mario Bergoglio – che la Chiesa non è soltanto il Denzinger, la collezione di passi dogmatici e cose storiche, ma la Chiesa si sviluppa nel cammino nella fedeltà alla rivelazione. Non possiamo cambiare la rivelazione. È vero che la rivelazione si sviluppa col tempo e noi col tempo capiamo meglio la fede. Il modo di capire oggi la fede dopo il Concilio vaticano II è diverso rispetto a prima, perché c’è uno sviluppo della coscienza. Lei ha ragione, e questa non è una novità, perché la natura stessa della rivelazione è in movimento continuo per chiarire se stessa, anche la natura stessa della coscienza morale».

«Per esempio - ha detto il Papa - oggi ho detto chiaramente che la pena di morte non è accettabile, è immorale, ma cinquant’anni fa no. È cambiata la Chiesa? No, si è sviluppata la coscienza morale, e questo lo avevano capito i padri. Nell’800 c’era un padre francese, Vincenzo da Lérins, che aveva coniato una bella espressione: la coscienza della fede, lo dico in latino, “annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate”, cioè cresce con gli anni è in crescita continua, non cambia, cresce, si allarga col tempo, si capisce meglio e con gli anni si sublima. Se io vedo che questo che penso adesso è in connessione con la rivelazione, va bene, ma se è una cosa strana che non è nella rivelazione, anche nel campo morale che non è secondo il campo morale non va. Per questo sul caso del diaconato dobbiamo cercare cosa cera all’inizio della rivelazione: se c’era qualcosa farla crescere e che arrivi, se non cera qualcosa, se il signore non ha voluto il ministero sacramentale per le donne, non va. Per questo andiamo alla storia, al dogma. Mi è piaciuto quel che la madre ha detto: non è solo questo, ci sono due cose in più: la cosa in più è il dialogo col mondo nel quale viviamo, e questo dialogo col mondo provoca situazioni nuove, che chiedono risposte nuove, ma queste risposte devono essere in armonia con la rivelazione».

«Sviluppo della fede e della morale ma sempre col fondamento», ha proseguito il Pontefice. «Non avere paura di dialogare. E la testimonianza. Pertanto è vero, non solo le cose dogmatiche, col Denzinger non andiamo da nessuna parte nella vita concreta, sappiamo la verità, sappiamo il dogma ma come affrontiamo questo, come facciamo crescere è un’altra cosa, il Denzinger ci aiuta, ma noi dobbiamo crescere continuamente. Io avevo fatto riferimento all’abito vostro ma avete cambiato, l’abito avete rovinato la vita consacrata? No, nel dialogo col mondo ogni congregazione ha visto come era meglio esprimere il proprio carisma, esprimersi, e questa ha un abito così, quella un altro, non sono né peggio ne migliori, ogni congregazione fa il suo discernimento. E con questo cado nella parola chiave: discernere, non è tutto bianco e nero, neppure grigio, è tutto in cammino, tutto è in cammino: ma camminiamo sulla strada giusta, la strada della rivelazione, non possiamo camminare su un’altra strada. Credo che sebbene non ho risposto a tute le sfumature che c’erano nella domanda della madre credo che questa è la risposta: è vero, non solo le definizioni dogmatiche e le cose storiche aiuteranno, non solo, ma non possiamo andare oltre la rivelazione e l’esplicitazione dogmatica. Capito? Siamo cattolici, eh? Se qualcuno vuol fare un’altra Chiesa è libero».

Nella sua introduzione, sempre a braccio, il Papa ha affrontato anche il tema degli abusi sessuali sui minori e dell’abuso sessuale delle religiose, due questioni che, come quella del diaconato femminile, erano stati sollevati nel saluto introduttivo dalla presidente dell’Uisg, la maltese Camen Sammut. I problemi nella Chiesa «non si risolvono da un giorno all’altro», ha detto il Papa, che sulla pedofilia ha sottolineato che «si è cominciato un processo», ha ricordato cheieri è stato pubblicato un nuovo Motu Proprio, ha evidenziato che «da vent’anni» si sta prendendo «lentamente» coscienza del problema e che ancora «stiamo prendendo coscienza, con tanta vergogna – ma benedetta vergogna, la vergogna è una grazia di Dio! – ma è un processo e dobbiamo andare avanti passo passo per risolvere questo problema. Alcuni delle organizzazioni anti-abusi non sono rimasti contenti dell’incontro a febbraio (con i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, ndr): “Ma non hanno fatto nulla!”. Io li capisco perché c’è la sofferenza dentro, io ho detto che se noi avessimo impiccato cento preti abusatori in piazza San Pietro sarebbero stati tutti contenti, ma il problema non sarebbero stati risolti. I problemi nella vita si risolvono con processi non occupando spazi».

Quanto al problema delle religiose abusate, «è un problema serio, grave, ne sono cosciente», ha detto il Papa, sottolineando di essere «cosciente» che si verifica «anche qui a Roma» e, più in generale, di essere «cosciente» «dei problemi, delle informazioni che vengono, e anche non solo dell’abuso sessuale della religiosa, ma l’abuso di potere, l’abuso di coscienza: dobbiamo lottare contro di questo», ha detto Jorge Mario Bergoglio, che ha proseguito spiegando, in merito al «servizio delle religiose»: «Per favore: servizio sì, servitù no. Tu non ti sei fatta religiosa per diventare la domestica di un chierico, no, ma su questo aiutiamoci mutuamente: possiamo dire di no, ma se la superiora dice di sì… tutti insieme, servitù no, servizio sì. Lavori nei Dicasteri, amministrando una nunziatura, questo va bene, ma domestica no. Se vuoi fare la domestica, fai come fanno le suore dell’Ascensione che fanno infermiere e domestiche nelle case degli ammalati. Sì li sì perché è servizio, ma servitù no».

Il Papa, che dopo un suo primo indirizzo a braccio, lasciando da parte il testo scritto che aveva preparato, ha risposto ad una serie di domande di diverse religiose, ha toccato i temi dell’ecumenismo «del sangue, del povero e della preghiera». Ha sottolineato la necessità di lavorare con persone di altre religioni sui valori in comune («Per esempio, il rispetto per la vita dei neonati o dei non nati che hanno i musulmani è meraviglioso»), ha raccomandato alle religiose di essere vicine alle «fragilità» dei più poveri e malati, così come quelli delle consorelle, ha parlato della «maternità» delle religiose, ed ha raccomandato la «cura» nell’«accompagnare» la inculturazione della fede ad esempio in materia liturgica.

Ad una suora sud sudanese che lo ha ringraziato perl’incontro spirituale tra leader politici del Paese africano, gli ha chiesto di ordinare un vescovo nella sua diocesi vacante («Non sempre si trovano in candidati adatti…», ha risposto il Papa) e lo ha invitato a visitare il Paese, Francesco ha ricordato che aveva intenzione di recarsi in Sud Sudan l’anno scorso con l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, «ma non è stato possibile» per motivi di sicurezza. Tuttavia «ho promesso di andarci, insieme, forse quest’anno… Forse, non è una promessa! Quando vado in Mozambico, Madagascar e Mauritius (a settembre, ndr) e forse c’è tempo per stare lì, non dico il tempo dell’orologio, ma il tempo maturo per arrivare lì: io voglio andare, il Sud Sudan lo porto nel cuore», ha detto il Papa, che ha poi voluto ricordare che in occasione del ritiro spirituale in Vaticano i leader contrapposti del Paese «facevano pranzo nella sala comune dove pranzo io, e li vedevo lì, come novizi, zitti… mangiavano, questi che facevano la guerra, zitti, perché pensavano alla meditazione che aveva dato loro il cattolico l’episcopaliano e l’anglcano. Nessuna nazione ha fatto questo, solo loro: sono bravi, e se hanno avuto questo coraggio di dare una testimonianza del genere, c’è possibilità di andare avanti».

Infine, prima di accomiatarsi, Papa Francesco ha promesso: «Prendo sul serio – se sarò vivo, non so – l’invito di partecipare almeno a una parte della prossima assemblea» dell’Uisg che prevedibilmente si svolgerà nel 2022. «Se sarò vivo, al contrario – ha concluso con un sorriso – ricordatelo al successore, che faccia lo stesso».

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