La Pontificia Università Urbaniana ha dedicato una giornata di studio, organizzata dalla Facoltà di Teologia, alla necessità di superare il clericalismo, origine degli abusi «sessuali, di potere e di coscienza», come dice Papa Francesco, nonché una delle cause principali che rallentano l’azione della missione della Chiesa.

«All’indomani dell’Esortazione apostolica Christus vivit e delle numerose sollecitazioni provenienti soprattutto dall’attuale magistero pontificio», ha detto introducendo il convegno che si è svolto la mattina dell’otto maggio il decano Pietro Angelo Muroni, «la nostra Facoltà di Teologia della Pontificia Università Urbaniana ha subito accolto la sfida di riflettere, con il nostro metodo proprio che è quello accademico e dunque scientifico, su questa piaga o, per utilizzare un’espressione della stessa esortazione e che suona più forte alle nostre orecchie, su questo “abuso”, al fine di offrire alla pastorale un contributo solido su quale poter fondare un serio e radicale sradicamento di questa “tentazione permanente dei sacerdoti”, come la definisce il Papa. Ma quando si sradica, occorre, lì dove si è sradicato, piantare un buon seme al posto della pianta cattiva; un buon seme che possa dare buon frutto. Ed è lo stesso pontefice che ci suggerisce, nella Laudato si’, la “semente da gettare”: “C’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future”».

Il professor Muroni ha citato in particolare l’eredità del Concilio Vaticano II che «abbandonando il modello istituzionale-gerarchico e rovesciando la prospettiva di riflessione sulla Chiesa, si muove sul versante della comunità dei battezzati, visti nella loro radicale condizione di uguaglianza proprio in forza del battesimo».

Alla mattinata di studio, intitolata “Non come padroni...ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,3). Dal clericalismo alla leadership nella Chiesa, hanno partecipato monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa (Amministrazione Patrimonio della Sede Apostolica), quattro professori della che hanno rappresentato le quattro aree di specializzazione della facoltà ed hanno trattato la tematica del clericalismo dai punti di vista biblico (Pasquale Basta), dogmatico (Maurizio Gronchi), morale (Cataldo Zuccaro), ecclesiologico-pastorale (Kokou Mawuena Ambrosie Atakpa).

Le conclusioni sono state affidate alla professoressa Sandra Mazzolini, che è partita dalla domanda «Quale modello ecclesiologico di riferimento?», per soffermarsi sulla «consapevole e critica disamina delle grandi prospettive ecclesiologiche consegnate dal Vaticano II alla Chiesa post-conciliare e dei processi della loro ricezione» e mettere in evidenza, in particolare, la valorizzazione della figura della «Chiesa popolo di Dio», «progressivamente messa da parte» nei primi decenni dopo il Concilio e ora riproposta dal Papa quando indica una Chiesa «in uscita», e «la valorizzazione, benché incipiente e non sistematizzata, della Chiesa locale e particolare».

Il passaggio dal clericalismo alla leadership, in questo senso, coinvolge una «conversione»: «Proprio perché questo cammino può essere rallentato, se non interrotto, dal limite non soltanto peccaminoso, ma anche creaturale della persona, bloccato cioè da momenti di debolezza e irresponsabilità – ha detto la professoressa Mazzolini – emerge in modo nitido la necessità di porre in atto specifici processi di conversione, che è cammino sia di pienezza e compimento, sia di purificazione e guarigione. Per una certa analogia con il singolo fedele, santo e al tempo stesso peccatore, anche la Chiesa è santa nella sua dimensione divina e quando vive con autenticità la propria vocazione e missione; rispetto alla sua dimensione umana può non esserlo, ad esempio qualora e quando non vive in modo coerente con la propria vocazione e missione. È dunque chiamata a mettere in atto processi di conversione, da intendersi come “apertura a una permanente riforma di sé per fedeltà a Gesù Cristo”».

È poi necessaria una adeguata formazione: «L’incompiuta ricezione delle succitate prospettive ecclesiologiche e il permanere di forme evidenti di clericalismo», ha sottolineato la docente – sottolineando «tra parentesi» che «il clericalismo non è appannaggio dei soli chierici» - «dipendono basicamente da una formazione personale lacunosa o insufficiente. Tale lacunosità incide, per un verso, sulla capacità relazionale con se stessi e con gli altri. Penso che il profilo sistemico e non occasionale della questione degli abusi sessuali e della pedofilia nella Chiesa – ha sottolineato l’ecclesiologa – oggi sia un preoccupante sintomo di una incapacità di relazionarsi con se stessi e con gli altri in modo autenticamente umano, conforme cioè al progetto creazionale di Dio. In tutto ciò, vi è uno stravolgimento del valore positivo della corporeità umana; il corpo viene utilizzato come strumento di dominio e sopraffazione, per creare cioè malsani e peccaminosi rapporti di dominazione e di sottomissione, sempre e comunque ingiustificabili, nonostante eventuali motivazioni addotte».

Ma l’insufficiente formazione «incide, per un altro verso, anche sulla sfera conoscitiva. Detto in altri termini, il clericalismo è frutto anche dell’ignoranza, cioè della non conoscenza, di elementi basici ma fondamentali. Da questo punto di vista, significativa è l’ignoranza delle prospettive ecclesiologiche del Vaticano II che non è attribuibile soltanto ai fedeli laici, ma anche – ha detto ancora la professoressa – a non pochi ministri ordinati. Altrettanto significativa è la diffusa ignoranza a proposito degli sviluppi storico-teologici delle relazioni fra i ministri ordinati e i fedeli battezzati, da cui consegue una certa confusione tra ciò che è essenziale e ciò che è la sua traduzione storica». Da qui, «la necessità di ripensare i percorsi formativi per i ministri ordinati e per i fedeli laici (in quest’ultimo caso, una questione non secondaria è quella della loro accessibilità e fruibilità)».

Infine, ha detto la professoressa Mazzolini, serve il discernimento: «Superare il clericalismo – ha sottolineati – non significa affatto sostituire i ministri ordinati con i fedeli battezzati. Significa piuttosto comprendere, in primo luogo, come e se ai vari livelli la leadership nella Chiesa possa essere condivisa; in secondo luogo, quali siano gli spazi nei quali ministri ordinati e fedeli laici possano, ciascuno a proprio modo e in relazione reciproca, condividere forme di leadership; in terzo luogo, se vi siano spazi propri per i fedeli battezzati. Significa altresì escludere qualsiasi forma di automatismo, di umana convenienza e di sfacciata raccomandazione. Significa, infine, porre una particolare attenzione ai doni ministeriali e carismatici con i quali lo Spirito Santo arricchisce la Chiesa, abilitandola per così dire all’espletamento della missione evangelizzatrice che le è stata affidata da Cristo. Doni che non possono essere pretesi e attribuiti in qualche modo da se stessi o da altri, ma doni che, in quanto doni di Dio – ha concluso la docente dell’Urbaniana – possono soltanto essere riconosciuti e accolti con gratitudine e fatti fruttificare con generosa disponibilità».

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