Nuovo attacco contro i cattolici in Burkina Faso. Quattro fedeli che stavano riportando in chiesa la statua della Vergine dopo aver partecipato ad una processione mariana, sono stati uccisi ieri a Singa, nel comune di Zimtenga, nella regione del centro nord del Paese. Come informa Fides, si tratta della stessa regione alla quale appartiene la provincia di Sanmatenga, dove domenica 12 maggio, don Sime’on Yampa, parroco di Dablo, è stato ucciso insieme a cinque fedeli nell’assalto alla chiesa durante la messa domenicale.

Secondo le informazioni diffuse dall’agenzia dei missionari, i fedeli cattolici del villaggio di Singa, nel comune di Zimtenga dopo aver partecipato a una processione dal loro villaggio a quello di Kayon, situato a circa 10 km di distanza, sono stati intercettati da uomini armati. I terroristi hanno lasciato andare i minori, ma hanno ucciso quattro adulti ed hanno distrutto la statua.

Ieri ai funerali delle vittime di Dablo, monsignor Seraphin Francois Rouamba, arcivescovo di Koupela e presidente della Conferenza episcopale Burkina Faso-Niger, ha rivolto un appello alla pace e alla coesistenza pacifica. Alle esequie hanno partecipato cattolici, protestanti, musulmani e rappresentanti delle religioni tradizionali.

Intanto dal Paese africano giunge la dura accusa del vescovo di Kaya, monsignor The’ophile Nare, che in una conversazione telefonica con la fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre parla di «una guerra dichiarata contro Gesù Cristo» in Burkina Faso.

«La situazione si aggrava sempre più», ha detto il presule. «Non sappiamo esattamente chi siano i responsabili degli attentati ma è chiaro il movente religioso. Dopo l’attacco di domenica a Dablo, ieri altri quattro fedeli sono stati uccisi durante una processione mariana».

«È chiaro che si vuole eliminare la presenza cristiana», afferma Nare, alla guida della diocesi di Kaya soltanto dallo scorso dicembre, che denuncia anche un’escalation di attacchi anticristiani nell’area settentrionale del Paese che ha avuto inizio il 17 marzo con il rapimento di don Joel Yougbare’, parroco di Djibo nella diocesi di Dori. «È la diocesi vicina alla nostra ed è l’area in cui vi è maggiore presenza di terroristi, a causa della vicinanza al confine con il Niger. Ma non sappiamo chi sono questi fondamentalisti perché nessun attacco è stato mai rivendicato e i colpevoli agiscono sempre a volto coperto. Ciò che è certo è che ormai l’area in cui ci troviamo è diventata un’enclave alla quale neanche l’esercito ha accesso».

Non è possibile identificare la provenienza dei terroristi - come invece avvenuto in altri casi - neanche dall’idioma; «Parlano sempre la lingua delle vittime», spiega il presule. L’unico elemento che si conosce è la religione. «A Dablo, come in altri attacchi, hanno detto alle vittime che le uccidevano perché non praticavano la `vera religione´, ovvero l’Islam. E poi hanno sparato al tabernacolo. Quale messaggio più chiaro per dire: `non vogliamo che voi cristiani pratichiate la vostra religione´?».

Il terrore si diffonde all’interno della comunità cristiana che a Kaya è nettamente inferiore a quella musulmana. «Dopo l’attacco di domenica sono andato a Dablo per incontrare i miei fedeli per cercare di confortarli ed ovviamente erano terrorizzati», afferma monsignor Nare notando come il messaggio di solidarietà inviato da Papa Francesco dopo l’attentato costituisca un grande incoraggiamento per tutta la diocesi e per il suo pastore. «Ho detto loro che non siamo soli e che il gesto del Santo Padre rappresenta l’intera Chiesa universale che si stringe attorno a noi. Poi li ho invitati ad avere fiducia e a non scoraggiarsi, anche se vogliono impedirci di pregare, se vogliono distruggere la nostra Chiesa. Noi dobbiamo continuare a pregare perché quella in atto in Burkina oggi non è soltanto una guerra contro noi cristiani, ma è una guerra dichiarata contro Gesù Cristo».

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