Le prime proiezioni affidabili arrivano in Polonia quando la notte nordica è ancora chiara: il popolo resta fedele a Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito di governo Diritto e Giustizia (PiS) che con il 43% otterrebbe 24 seggi mentre gli avversari della Coalizione Europea (KE), promossi dal presidente uscente del Consiglio europeo, Donald Tusk, si fermerebbero al 38,4%, 22 seggi, perdendone 6. Non sono bastati gli scandali finanziari né l’eco del documentario dei fratelli Sekielski sui preti pedofili, «Tell No One», che aveva spinto il PiS ad annunciare tolleranza zero per mimetizzare la simbiosi con la chiesa cattolica: i polacchi sono andati a votare in massa (43% contro il 23% del 2014) per dire che, con una crescita del 3,4% e tanti benefit per le famiglie, il Paese va bene così.

«È una sconfitta e pesante, checché tutti pretendano di aver vinto», ammette dall’entourage dei Verdi, Adam Ostolski. Gli ambientalisti sono uno dei pilastri del KE ma, dice questo giovane sociologo che nelle ultime settimane ha deciso di fare un passo indietro , non è bastato l’”effetto Greta”: «Abbiamo voluto mettere insieme in modo artificiale troppe anime con valori troppo diversi, ora dobbiamo rimboccarci le maniche per ottobre».

In autunno la Polonia torna alle urne per il nuovo parlamento nazionale, le elezioni più importanti dalla caduta del comunismo a detta dell’analista Aleks Szczerbiak, e tutti sanno benissimo che il test europeo è solo la prova generale del vero imminente redde rationem.

«Il PiS ha vinto il primo round perché persegue politiche apprezzate dalla gente, a partire dai 125 euro elargiti dal secondo figlio in poi ed estesi pochi mesi fa anche al primo», ragiona il caporedattore Michal Szuldrzynski nella fibrillante redazione del quotidiano conservatore Rzeczpospolita. A conti fatti e sondaggi tutti sballati, crede che l’opposizione abbia frainteso i polacchi: «Non abbiamo votato per l’Europa, non c’erano temi europei in campagna elettorale. È stata una guerra culturale, i diritti degli omosessuali, la pedofilia, le donne. Si pensava chissà quanto pesasse il documentario “Tell No One”, visto 21 milioni di volte su YouTube, e invece, sebbene i polacchi siano più emancipati del passato, non vogliono che lo Stato combatta la Chiesa».

«L’esito del voto mostra un Paese molto polarizzato che si fronteggerà duramente nei prossimi mesi», osserva il teologo liberale Stanislaw Obirek passeggiando per Mokotow, il quartiere borghese e gentrificato in cui ha votato. Ha avuto ragione nel temere che alla fine la questione pedofilo-morale potesse avvantaggiare la destra alla destra del PiS, quel partito nazionalista ed euroscettico Konfederacja che pare effettivamente proiettato verso il 6,1%, contrariamente alla pessima performance degli anti-establishment di Kukiz’15, a suo tempo avvicinati dal Movimento 5 Stelle, esclusi dal Parlamento con il 3,8%. È andata così, con l’alta affluenza che ha premiato la Vandea.

«La KE non ha saputo parlare alla gente, non ha trovato argomenti alternativi alle popolari misure sociali del governo, anche perché alcuni dei partiti membri hanno appoggiato per anni politiche neo-liberiste e oggi non sono credibili», nota lo scrittore Tomasz Piatek, reduce da parecchi problemi per il suo libro sui rapporti segreti di una parte dell’esecutivo (segnatamente l’ex ministro della difesa e il premieri) con l’arcinemica Russia e la nuova invasione di troll filo Cremlino nell’arena politica polacca.

Jaroslaw Kaczynski, l’eminenza grigia del governo in cui non riveste incarichi ufficiali, canta vittoria. La battaglia dell’opposizione per riportare la Polonia nel cuore dell’Europa segna il passo e, fermandosi al 6,6%, lo segna anche il neo partito Wiosna del carismatico Biedron, liberal e liberista, una specie di Emma Bonino appetibile per i giovani delle grandi città che in Polonia non sono quasi mai veramente di sinistra ma piuttosto radicali.

«Aspetto i dati reali e credo che alla fine la differenza sarà meno marcata», chiosa Katarzyna Kasia del settimanale Kultura Liberalna. Si dice l’anima femminile del Paese e spera che dopo la sconfitta la KE resti unita per non lasciare al Pis un’arena senza opposizione. Le urne sono chiuse, domani si ricomincia.

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