Quando Matteo Salvini chiuse la campagna per le Politiche alzando al cielo il rosario giurò: «Non lo mollo più». La coroncina mariana gliela aveva donata un sacerdote anti-tratta e lui, in segno di pacificazione con il terzo settore, cancellò subito dal programma elettorale la riapertura delle case chiuse.

Un anno dopo, il leader leghista ha ancora il rosario in mano, ma le porte della Chiesa ufficiale restano per lui serrate, mentre il suo radicamento nell’elettorato cattolico, soprattutto in Lombardia e Veneto, si è esteso a macchia d’olio.

Le caratteristiche dell’opa sulla base dei credenti si sono progressivamente delineate: la rivendicazione di quelle radici giudaico-cristiane espunte dalla Costituzione europea, principalmente per la contrarietà francese, in spregio dell’impegno personale di Giovanni Paolo II; l’affidamento dell’Italia e dell’Europa («e non della vittoria elettorale», ha specificato Salvini domenica notte) al cuore immacolato di Maria; il bacio al rosario con annessa reazione del presidente dei vescovi europei, Jean Claude Hollerich («i simboli religiosi servono per pregare, non per prendere voti»). Il volto moderato, neo-Dc, ha rassicurato soprattutto i praticanti over-60 che hanno apprezzato anche il basso profilo nel conflitto permanente con i 5 Stelle.

Prove tecniche di dialogo

Il sacerdote di frontiera della comunità Giovanni XXIII don Aldo Buonaiuto, mediatore ad agosto tra Viminale e Vaticano, per lo sbarco dei profughi dalla nave Diciotti mette in guardia dal tentativo di entrare nella coscienza individuale per distribuire patenti di cattolicità e per sindacare sull’autenticità dei percorsi di fede. E sul suo giornale digitale In terris, nel tentativo di costruire un canale di dialogo, riannoda i fili della comune identità cattolica: «Invece di scandalizzarsi per manifestazioni esteriori di religiosità, non sarebbe più proficuo cercare di offrire ascolto a chi chiede di potersi confrontare con la Chiesa nelle sue varie espressioni?». Poi conciliante: «Se i Papi, persino nell’epoca delle invasioni barbariche, uscivano dalla Città eterna per andare incontro ai “conquistatori” in segno di pace, perché noi uomini di Chiesa dovremmo oggi chiudere le porte a chi cerca un’interlocuzione sui temi di interesse comune?».

L’identikit post-Verona

Nel raddoppio dei consensi dalle Politiche alle Europee affiora l’identikit dell’elettore catto-sovranista forgiato a marzo nell’infuocato Congresso delle famiglie a Verona. Da un lato le gerarchie ecclesiastiche assenti, dall’altro i settori più conservatori in prima linea. Salvini li ha rassicurati nella conferenza stampa post-vittoria promettendo di portare in Europa i loro valori, a partire dalla «difesa della vita». Per ricucire lo strappo sull’immigrazione con la Santa Sede, il leader leghista si è scusato per i fischi a Francesco al comizio in piazza Duomo. Un partito per il quale vota più di un italiano su tre non può non cercare il dialogo con la Chiesa, perciò Salvini, come pontieri e interlocutori, sta man mano sostituendo esponenti del cattolicesimo socialmente impegnato agli ultraconservatori della Fondazione Lepanto e alle frange vicine a posizioni sedevacantiste. Per governare l’Italia nessuna leadership può prescindere da un appeasement (o almeno un rapporto di cordiale vicinato) con il Vaticano e l’episcopato nazionale, perciò Salvini ha abbandonato le falpe anti-Bergoglio («Il mio Papa è Benedetto») e il filo diretto con oppositori di Francesco come il cardinale statunitense Raymond Burke. E ha iniziato a tessere la tela del dialogo con la Cei e la Santa Sede. In attesa dell’agognato incontro con il Pontefice, interloquisce attraverso mediatori con la Segreteria di Stato e la Cei. Gli ostacoli rimangono se il gesuita politologo della Civiltà Cattolica, padre Francesco Occhetta ha ribadito ieri all’emittente dei vescovi, Tv2000: «L’uso di simboli religiosi durante i comizi elettorali e dopo l’esito elettorale rappresenta una dimensione sacrale legata al politeismo». Tutto questo è «legato alla credenza, a una dimensione sociologica della religione ma non alla fede; da qui si risale alla cultura leghista che nasce negli Anni 80 come l’acqua del battesimo nel fiume Po, i presepi e gli altri simboli religiosi». E «non è sufficiente mostrare il rosario e il Vangelo per dirsi di essere un politico cattolico. Per noi la pagina politica più forte del Vangelo è quella del Buon Samaritano».

Testamento biologico in Curia

Sull’accoglienza dei migranti, il ministro dell’Interno sa di giocarsi la partita decisiva Oltretevere. Ma l’immigrazione non è l’unico dossier sensibile in Curia. Tra qualche mese, su sollecitazione della Corte Costituzionale, ci sarà da mettere mano alla legge sulle disposizioni anticipate di trattamento (Dat) e non sono pochi in Vaticano a ritenere che sia meglio discuterne prima (riservatamente) con chi sta riscrivendo la norma, piuttosto che lamentarsi poi (pubblicamente) per l’esito. Salvini può offrire il ramoscello d’ulivo di un testo «catholically correct» frenando gli slanci laicisti dei 5 Stelle.

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