Di sesso si parla e si è sempre parlato tra i banchi. Ma non in cattedra. Almeno non in Italia. Ma perché? Meglio, chi lo dice? La prima risposta è quasi intuitiva, ed è quella che si è data pure il Parlamento europeo nell’ultimo dossier Policies for Sexuality Education. «In Italia è lasciato ai singoli istituti il compito di decidere su tempi e programmi - recita il testo -. Ma l’inserimento dell’educazione sessuale tra le materie scolastiche ha trovato l’opposizione della Chiesa cattolica». Da tradizione millenaria, il sesso è un tabù e meno se ne parla meglio è. Anche perché a certe cose, non dimentichiamolo, bisogna iniziare a pensare solo dopo il matrimonio. E quindi raccontarle ai ragazzi non può che far del danno. Ma se Giovanni Paolo II si dedicò alla «teologia del corpo», con le parole di Papa Francesco - «Il sesso non è un mostro da cui fuggire, ma un dono di Dio. E servirebbe un’educazione sessuale nelle scuole» si sarebbe dovuto sdoganare l’insegnamento a scuola, per la prima volta prescelta come il luogo ideale per un insegnamento «oggettivo, senza colonizzazioni ideologiche». Qualche cosa allora è cambiato?

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Assolutamente no. Le parole del Papa sono cadute nel vuoto. Di educazione sessuale proprio non se ne parla, anche se negli anni in Parlamento se ne è discusso tantissimo. Negli ultimi quarant’anni si contano 16 progetti di legge e oltre 300 atti parlamentari tra interpellanze, interrogazioni e risoluzioni, ma l’Italia ancora non ha una legge sull’educazione sessuale. Se negli Anni 70 almeno si parlava di sesso in modo esplicito, con i Duemila si è scivolati nelle mille sfumature dell’educazione affettiva, poi sentimentale, per concludere con un generico e puritano programma di «educazione al rispetto».

Ma andiamo con ordine. Nel 1975 il primo disegno di legge sull’educazione sessuale in classe venne proposto dal Partito Comunista, firmato dal deputato Giorgio Bini. L’anno dopo ritentato Ritentano i giovani socialisti, proponendo l’istituzione di un “Consiglio superiore della informazione ed educazione sessuale”. Recita il testo: «Non è ammissibile l’imbarazzo degli adulti, la loro tendenza a rifiutare un dialogo che i giovani vorrebbero aperto e cordiale». Nel 1980 la prima firmataria è Tina Anselmi. «La causa principale del disorientamento di cui è vittima il mondo giovanile va ricercata in una mancata o errata educazione che pregiudica il soggetto anche in vista del suo comportamento sociale- recita il disegno di legge-. Il discorso sessuale non tocca solo la sfera privata, ma investe la cultura e la vita sociale». Parole sante, ma ignorate».

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Nel 1987 tocca a Democrazia Cristiana, nel 1991 il ministero della Sanità commissiona a Guido Silvestri, alias Silver, creatore di Lupo Alberto, un opuscolo per spiegare agli alunni delle scuole medie e superiori come difendersi dall’Aids. Si chiama “Come ti frego il virus”, ma dopo la pubblicazione viene giudicato moralmente pericoloso. Gli studenti protestano, ma viene ritirato.

Più ci si avvicina ai tempi moderni, più la parola sesso sembra fare paura. Tocca anche ai deputati Cinque Stelle proporre «percorsi didattici e programmi di educazione all’affettività e alla sessualità consapevole», con un’integrazione nei percorsi di studio universitari. Ancora una volta, nulla di fatto. Il ministro dell’Istruzione Fedeli presenta “Il Piano nazionale per l’educazione”, per superare pregiudizi e diseguaglianze, senza nemmeno prevederne l’obbligatorietà.

Tra i nemici più agguerriti dell’educazione sessuale, ora ci sono i genitori. Cattolici o di altre religioni, pure atei. Non importa. Ma assolutamente determinati a “difendere” i propri figli. Non più No Vax, ma No Sex. L’alzata di scudi inizia negli anni dei governi Monti e Letta, con la “bomba” dell’educazione di genere. Volume della discordia è “Educare alla diversità a scuola”, libretto nato per «promuovere l’educazione alle differenze tra donna e uomo e lo sviluppo della libera espressione della personalità, la lotta al sessismo e all’omofobia». Iniziativa molto criticato da alcuni giornali e movimenti di estrema destra, che con il nomignolo di «teoria gender» ha suscitato una valanga di cattiva informazione e pure una grandissima confusione. L’ex ministro dell’Istruzione Stefania Giannini provò a fugare i dubbi, dicendo che «il tema gender è una truffa culturale, non esiste nel nostro paese». Ma ne è nato il mantra “Giù le mani dai nostri figli”. E tra genitori capita di affidarsi a internet più che ai medici addirittura quando si parla di salute, perché non se il tema è il sesso?

Ma quali sono le conseguenze della mancata educazione? E come reagiscono le classi quando invece di sesso si parla? Ne parliamo con Adriano Gasparetti, che con l’associazione “L’Ombelico” da vent’anni si occupa di portare l’educazione sessuale nelle scuole.