Giuseppe Conte è sembrato «moderatamente» ottimista, fanno sapere dal Quirinale dopo il colloquio del premier con Sergio Mattarella. E l’ottimismo, appunto, si ferma lì, a quell’avverbio che rende tutte le preoccupazioni del capo del governo sul futuro a breve dell’esecutivo. Nella nota del presidente del Consiglio non c’è più traccia della certezza che si andrà avanti per quattro anni, «fino alla scadenza naturale» della legislatura. Si limita a parlare di un’agenda fitta di misure che impegnerà il governo «per il resto della legislatura». Una formula generica che vale per chissà quanto.

L’avvocato Conte conosce la prudenza delle parole, e non può avventurarsi oltre la conferma che le condizioni per andare avanti «potrebbero anche esserci». Ma senza guardare troppo oltre, perché i condizionali sono d’obbligo ed è meglio non impegnarsi troppo, considerato che ormai apertamente tra gli uomini più fidati di Luigi Di Maio, in Parlamento e tra i ministri si parla di una data, il 29 settembre, come probabile giorno per le elezioni anticipate.

Il premier sale al Colle dopo aver visto separatamente i suoi vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Entrambi evitano un vertice a tre, nonostante gli annunci e le attese. C’è una crisi da scongiurare e bisogna comprendere se ci sono le premesse per blindare la maggioranza gialloverde. Nessuno può dare assicurazioni. E allora Conte chiede chiarimenti.

Da Salvini pretende «lealtà» e «pazienza». Il premier non ci gira troppo intorno. Non gli sono piaciute le uscite del leghista contro l’Europa mentre lui stava per prendere l’aereo che lo avrebbe portato a Bruxelles a discutere dei conti italiani. Conte vuole la massima legittimità, non «un premier ombra» che lo faccia sentire «commissariato». Né può subire l’onta di essere considerato «un fantoccio» agli occhi dei partner europei, perché ancora gli fa male l’eco delle parole del leader dei liberali Guy Verhofstadt che a Strasburgo lo definì un burattino nelle mani dei suoi vice.

«Il mandato da capo del governo deve essere pieno» afferma il premier e chiede a Salvini di evitare di terremotare l’alleanza con il M5S pretendendo subito tutte le sue conquiste più identitarie. «Non reggeremmo». Il decreto sicurezza bis, per esempio. Serve qualche giorno, in modo che Di Maio rimetta in sesto il Movimento. Per il leghista non c’è problema, risponde, «ad aspettare una settimana in più». Ma chiede a sua volta «lealtà» e al premier dice: «Non sei tu il problema, ma i 5 Stelle la devono smettere di insultarci quotidianamente».

Sono basi fragili per dare un respiro lungo al governo. Ma sia Conte sia Salvini se le fanno bastare, sapendo che ogni giorno porterà con sé una prova di questa tenuta. Si potrebbe ricominciare già oggi con l’attesa sentenza su Edoardo Rixi, il sottosegretario leghista ai Trasporti a processo per peculato. I 5 Stelle non arretreranno dalla richiesta di dimissioni in caso di condanna. Per Conte «il contratto parla chiaro» e prevede un passo indietro per tutta una fattispecie di reati a seguito di condanna anche in primo grado. Ma l’impressione, di Di Maio come del premier, è che Salvini non voglia arrivare alla rottura su una questione giudiziaria, scatenando la crisi per un’inchiesta. Sono convinti che si muoverà nel solco di quanto ha fatto per l’indagine su Armando Siri, altro sottosegretario in quota Lega, costretto a dimettersi un mese fa, dopo la decisa e insistente difesa del leader della Lega.

A Palazzo Chigi notano, poi, una certa moderazione in Salvini quando gli chiedono di Rixi. Segno che potrebbe essere altro, a detta dei 5 Stelle, a poter scatenare la crisi. Di Maio sospetta che il leader leghista cerchi il «pretesto perfetto» per rompere: «Lo farà solo se potrà addossare a noi la colpa». Ne hanno parlato anche con Conte. I temi economici e la futura legge di Bilancio sono gli osservati speciali. Salvini sta preparando una escalation finanziaria per realizzare quel mega taglio fiscale che ancora impropriamente viene chiamata flat tax. Per i 5 Stelle «è irrealizzabile» ma non vogliono dare sponda alle sue recriminazioni. Anzi. proprio per questo motivo, nonostante la smentita di qualche settimana fa, ieri è tornata con prepotenza l’idea, anticipata dalla Stampa e confermata nonostante le smentite di rito, di offrire alla Lega il ministero dell’Economia in vista dell’autunno di tagli che ci aspetta. «Si deve prendere tutte le responsabilità economiche» conferma Davide Tripiedi, deputato che più di altri si è lanciato nella difesa di Di Maio. Il leader del M5S ha notato le resistenze di Salvini, eppure avrebbe pronto uno schema di rimpasto da offrire al leghista: «Così vedremmo cosa saprebbe fare...».

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