Meno di due mesi fa Benjamin Netanyahu trionfava alle elezioni anticipate in Israele, con il suo Likud che conquistava 35 seggi e con la coalizione di centrodestra che in teoria poteva contare su una maggioranza di 67 parlamentari. Molto in teoria, però, perché il premier non aveva fatto i conti con i rapporti logorati all’interno della alleanza. Il duello a colpi bassi con l’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman, prima durante la crisi che aveva portato allo scioglimento della Knesset, poi in campagna elettorale aveva scavato un fossato che per Netanyahu si è rivelato impossibile da colmare.

In quella che molti osservatori locali hanno definito una «lunga vendetta» Lieberman ha posto condizioni sempre più dure per il suo ingresso nella nuova coalizione di centrodestra. Fino a impuntarsi in maniera definitiva sulla richiesta che anche gli ultra-ortodossi, inclusi gli studenti nei seminari, svolgessero il servizio militare. L’esenzioni dei religiosi è una questione scottante, affrontata anche dalla Corte Suprema, ma i partiti religiosi, in particolare lo Shas, sono sempre riusciti a mantenere l’esenzione facendo leva sul loro potere di veto all’interno dell’alleanza di governo.

Lieberman sapeva bene che non avrebbe ceduto e così è stato. Alla mezzanotte di mercoledì è scaduto l’ultimo termine e Netanyahu non è riuscito a formare una maggioranza. Si era però premunito dal rischio che il presidente Reuven Rivlin affidasse l’incarico a un altro, vedasi il centrista Benny Gantz, e aveva fatto votare alla Knesset una legge per lo scioglimento anticipato, che è stata confermata nella notte. Israele torna quindi al voto, il 17 settembre. «Bibi» scampa il pericolo di essere spinto all’opposizione e di dover affrontare da lì un possibile processo per corruzione.

«Condurremo un campagna netta e chiara che ci darà la vittoria», ha dichiarato subito dopo il voto: «Vinceremo e sarà un vittoria per tutti gli israeliani». Per riuscire nel nuovo azzardo dovrà aumentare i seggi del Likud, schiacciare Lieberman fino a non fargli superare la soglia del 3,25 per cento, compattare gli alleati affidabili. Altrimenti finirà nell’impasse e questa volta è probabile che Rivlin riesca a dare l’incarico a Gantz per formare una maggioranza spostata al centro, anche con un Likud non più guidato da Netanyahu.

È una partita a doppio filo perché a ottobre incombono le audizioni per i casi di corruzione, secondo il calendario stabilito dal procuratore generale Avichai Mandelblit. Netanyahu aveva prospettato un disegno di legge per mettere i primi ministri al riparo dalle inchieste giudiziarie ma ora deve affrontare la campagna elettorale. Per aggirare Lieberman era arrivato a offrire ministeri persino a partiti di sinistra, inclusi quelli arabi. Niente da fare. Alla fine Netanyahu ha definito Lieberman «un serial killer di governi di destra» e ora si andrà alla resa dei conti.

Il fallimento nel formare il suo quinto governo rischia però di trascinare nella polvere anche il piano di pace americano. Ieri sono arrivati in Israele Jared Kushner e Jason Greenblatt per il tour in Medio Oriente che dovrebbe portare alla presentazione del piano. Non si aspettavano di trovare un partner azzoppato e in lotta per la sopravvivenza.

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