L’amore per la libertà in questo Paese ha un andamento stravagante. O meglio, un andamento spiegato dal fatto che abbiamo le città più sporche e le case più pulite del mondo, il debito pubblico più alto e il più alto risparmio privato. Tutto quanto sappiamo di comunità si restringe a noi stessi, alla nostra famiglia, al massimo alla nostra corporazione, sintomo scintillante del fascismo eterno e collettivo.

A turno, nell’ultimo anno e mezzo, ogni categoria ha protestato per le restrizioni anti Covid, e soltanto in nome della categoria. Ma con la lotta al Green Pass, elevato a strumento della dittatura sanitaria o, in qualche mente particolarmente brillante, del complotto planetario, sto assistendo alla più straordinaria sollevazione in nome della libertà che abbia mai visto in cinquantadue anni di vita. Nulla li smosse prima, e non vorrei incartarmi nell’elenco, basta ricordare un numero già molte volte ricordato: ogni anno mille italiani (dato certo ma incompleto), più probabilmente duemila (stima verosimile), forse addirittura tremila (stima pessimistica) finiscono in carcere per errore. Non avevano fatto niente, e sono finiti in carcere. Ma non si protesta, è la libertà degli altri, chi se ne frega. Però se io non voglio vaccinarmi – frase in cui l’epicentro è io – allora è dittatura sanitaria. Il vaccino e il Green Pass non sono la libertà, come è stato imprudentemente sostenuto: sono una dolorosa imposizione attraverso la quale abbiamo riaperto le scuole, i ristoranti, i posti di lavoro, e abbiamo cominciato a riconquistare spanne di libertà. E in questo caso l’epicentro della frase è noi.