Cesare Battisti torna in Italia accolto e “legittimato” da due ministri

di Daris Giancarlini

Tornò dalla sua latitanza in Brasile, Tommaso Buscetta, il pentito di mafia che, grazie al lavoro investigativo di Giovanni Falcone, con le sue dichiarazioni contribuì a far condannare la cupola di Cosa nostra. Tornò in aereo, e arrivò in aeroporto a Roma: una foto lo ritrae con grandi occhiali da sole e, a coprire le mani ammanettate, una coperta a righe trasversali, a fianco i poliziotti che lo tengono sottobraccio.

Stop. Solo poliziotti: non c’era Falcone, non c’era un ministro e neanche un sottosegretario. E quello era Buscetta, uno che già si sapeva al momento in cui aveva deciso di tornare in Sicilia avrebbe contribuito in maniera determinante a scoperchiare il pentolone melmoso delle pratiche e delle connivenze mafiose.

Torna dalla latitanza Cesare Battisti, terrorista degli anni di piombo con sulle spalle condanne per omicidio, e lo Stato è presente sotto la scaletta dell’aeroplano con ben due ministri. Quello Stato che tutti gli italiani uniti – sostenne il peso di anni e anni di uccisioni, sequestri, atti di violenza, ma non arrivò mai a legittimare il confronto con chi aveva scelto il mitra e la pistola per condurre la sua presunta ‘lotta politica’.

Di tutte le polemiche che la presenza di due ministri all’arrivo di Battisti ha sollevato, la più fondata concerne proprio il fatto che, in questo modo, quell’uomo imbolsito da decenni di fughe si è trovato di fronte, a pochi metri, quello Stato contro cui aveva scatenato la sua inutile violenza. Fa male anche soltanto immaginare che l’abbia vissuta come una legittimazione postuma. Anche se da sconfitto.