Italia ed estero
«Trump. Vita di un presidente contro tutti»: il libro del nuovo nuovo direttore del TG2 Gennaro Sangiuliano
Dopo la nomina di Marcello Foa a presidente della Rai, un’altra nomina eccellente nella tv di Stato: Gennaro Sangiuliano è il nuovo direttore del TG2.
Sangiuliano non è davvero un giornalista “qualsiasi”, e neppure uno dei tanti che fanno carriera più per il loro servilismo e per l’abilità trasformista che per le loro effettive qualità professionali.
Il neo direttore, infatti, vanta davvero un curriculum impressionante: studi classici, laurea in giurisprudenza, dottorato di ricerca in diritto ed economia, collaborazioni con varie università romane, pubbliche e private (Lumsa, La Sapienza e Luiss), tanta esperienza come giornalista e numerosi riconoscimenti di ogni genere (dal Premio “Capalbio” per la saggistica storica a svariati premi per il giornalismo culturale).
Quello che si può dire con certezza è che il nuovo direttore del Tg2 possiede notevoli capacità di narratore, di storico e di analista.
Suoi sono alcuni dei saggi più equilibrati ed accurati su personaggi politici di grande attualità, come Hillary Clinton, Vladimir Putin e Donald Trump.
A pochi giorni dalle elezioni di mid term negli Usa, vorrei soffermarmi proprio sulla biografia dedicata da Sangiuliano al presidente americano, intitolata Trump. Vita di un presidente contro tutti (Mondadori, 2017).
L’aspetto più interessante, non certo scontato per il giornalismo militante di questi tempi, è che non si tratta del libro di un tifoso, o di quello di un detrattore, bensì dell’indagine di un serio ricercatore che vuole capire davvero chi sia, cosa pensi e perchè abbia vinto l’attuale inquilino della Casa Bianca, evitando letture semplicistiche, demonizzanti o agiografiche.
Sangiuliano parte da lontano, dal nonno di Trump, Friedrich Trumpf (questo il cognome originario), un immigrato tedesco di sedici anni giunto a New York la mattina del 19 ottobre 1885. Questo esordio storico permette al giornalista di ripercorrere una bella fetta di storia americana del XX secolo.
Mi limiterò a riprendere qualche aneddoto interessante, non solo per capire la storia di ieri, ma anche quella di oggi.
Nel secondo capitolo Sangiuliano ricorda che a New York, negli anni Venti, esisteva un circolo, il Tammany Hall, nato come società di mutuo soccorso, per divenire poi una macchina capace di gestire denaro e affari.
In mano ai democratici, il Tammany, nell’Ottocento, “aveva aiutato l’integrazione degli immigrati irlandesi gestendo le pratiche per il conseguimento della cittadinanza e ottenendo, in cambio, fedeltà elettorale. Una diffusa rete dislocata in tutti i quartieri, le cui fila erano tirate dal gruppo di Tamanny, garantiva alle famiglie degli immigrati irlandesi case popolari, tessera sanitaria, accesso alle scuole, in alcune circostanze si arrivava a distribuire ceste di cibo e vestiario per i bambini. In questo modo si potevano gestire pacchetti di voti in grado di determinare i sindaci di New York, i consiglieri comunali e le altre cariche pubbliche. Dopo, la macchina sarebbe passata a gestire l’enorme flusso di immigrati provenienti dall’Italia, agli inizi del Novecento il primo gruppo etnico di New York”.
Questa gestione dell’immigrazione irlandese ed italiana, per scopi di potere, dietro apparenti fini benefici, da parte di ambienti democratici, non ricorda un po’, mutatis mutandis, quello che avviene oggi con organizzazioni come “Mafia capitale”, o con quelle Ong che, in nome dell’accoglienza, portano a casa ricchi guadagni?
Ma torniamo al libro di Sangiuliano. Qualche riga più sotto egli ricorda che “lo strapotere di Tammany fu per un certo tempo sconfitto da Fiorello La Guardia, il sindaco repubblicano, italiano di seconda generazione, che fece della lotta alla corruzione il suo tratto distintivo”.
Chi era Fiorello La Guardia? Anzitutto un discendente di immigrati, un italiano che non poteva tollerare che altri italiani come lui, i mafiosi, gestissero il mercato della prostituzione e degli alcolici proibiti (cioè quello che fanno oggi in Italia i membri della cosiddetta “mafia nigeriana”, detentori di un fiorente giro di affari legato proprio alla prostituzione e al traffico di droga).
Per questo La Guardia ingaggiò “una dura lotta contro le famiglie di Cosa Nostra, facendo arrestare platealmente Charles Lucky Luciano, alias Salvatore Lucania, il mafioso che dalla sua suite di lusso dell’Hotel Waldorf-Astoria coordinava” i loschi affari della sua banda.
Italiano, nemico dei mafiosi italiani, La Guardia era anche un membro del Partito Repubblicano, lo stesso che ha accolto tra le sue fila, per il vero senza grande entusiasmo, Donald Trump.
Al tempo di La Guardia, rammenta Sangiuliano, ricordadoci una pagina di storia volentieri dimenticata, i repubblicani erano gli eredi di Abramo Lincoln, il presidente che si era battuto contro schiavismo e razzismo, mentre il partito Democratico, se da una parte gestiva pro domo sua il traffico di immigrati di New York, dall’altra, soprattutto nel sud del paese, manteneva legami con il suo passato favorevole alla segregazione razziale, vantando rapporti di contiguità nientemeno che con il Ku-Klux-Klan!
A La Guardia, sindaco di New York sino al 1945, subentrò il democratico BillO’Dwyer, e la mafia ricominciò “a far girare i propri affari sotto la guida di Frank Costello, già luogotenente di Lucky Luciano, lasciato da questi alla guida delle famiglie di New York e definito dai giornali ‘il primo ministro della mafia’”, finchè una commissione di inchiesta del Senato americano, nel 1950, verificò i legami tra Tammany, Partito Democrato e Cosa Nostra. Mafia capitale, insomma ma negli Usa, settant’anni fa.
E Donald Trump? Il libro va letto integralmente, ma possiamo ricordare almeno, per concludere, che le due famiglie regnanti della strana democrazia americana degli ultimi 30 anni, i Bush (repubblicani) e i Clinton (democratici), prima di indicarlo al mondo, con una inedita sintonia, all’epoca delle elezioni del 2016, come il demonio, ebbero rapporti convenienti e cordiali con lui, per molto tempo. Trump, infatti, appoggiò George H. Bush nel 1988, mentre nel 1992 si schierò con Bill Clinton, iniziando poi, con la coppia presidenziale, “un idillio che durerà anni”: “Trump sarà invitato a tutti i ricevimenti di un certo rilievo alla Casa Bianca e i Clinton parteciperano al terzo matrimonio, ospiti d’onore a Palm Beach”.
A quell’epoca i soldi del “razzista” Trump risuonavano graditi, nelle casse della fondazione dei Clinton, mentre Bill finanziava barriere di mattoni e “barriere umane” di agenti, per bloccare immigrazione illegale e traffico di droga dal Messico.
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