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Vittorio Feltri: "Claudio Baglioni a Sanremo è libero di sbagliare come vuole"

Matteo Legnani
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Di seguito pubblichiamo, da Libero di lunedì 14 gennaio 2019, il botta e risposta tra Paolo Becchi/ Giuseppe Palma e Vittorio Feltri sul caso-Baglioni, ovvero il sermone pro-immigrati del direttore artistico nel corso della conferenza stampa di presentazione del Festival. Ha iniziato con la solfa immigrazionista, ha continuato con la censura. In una conferenza-stampa dei giorni scorsi il direttore artistico del Festival di Sanremo 2019, Claudio Baglioni, ha sparato a zero contro la politica sull' immigrazione adottata dal governo, con marcato taglio critico contro il pugno duro di Salvini. Chiaro che il nome del ministro dell' interno non lo ha mai fatto, ma il riferimento esplicito alla gestione del tema immigrazione da parte del governo si. Due più due fa quattro e presto si è scatenata la polemica. È pur vero che il festival di Sanremo è sempre stato terreno di scontro politico, ma mai da parte dei direttori artistici, che spesso lasciavano questo campo ai comici. Chi non ricorda i bei tempi di Grillo e Benigni? Baudo restava super partes ma la satira si poteva esprimere liberamente. E i bersagli talvolta ridevano, divertiti dall' essere presi in giro. Ma quella di Baglioni non è satira, bensì politica vera e propria. Non contento, in qualità di direttore artistico ha preferito che il glorioso gruppo musicale dei New Trolls non partecipasse alla kermesse musicale. Forse perché antichi e attempati? Macché, il motivo è per la seconda volta politico. Il testo della canzone, infatti, traccia una voglia di riscatto nazionale, con taglio - se vogliamo - "sovranista": «Unione fatta di parole e di ipocrisia», «le nostre porte aperte al mondo e il terremoto che le spazza via», «la paura poggia sai tra le vie della città, non ci permette più di camminare con l' amata libertà tutti i nostri sacrifici sono a rischio sai!». Leggi anche: sanremo 2019, ecco quanto prendono Claudio Baglioni e Claudio Bisio: cifre pazzesche Parole di buon senso ma che il mondialista Baglioni non vuole che vengano cantate dal palco dell' Ariston. Come se il Festival fosse suo, dimenticando che gli italiani pagano il canone Rai nella bolletta dell' energia elettrica, col rischio di restare senza luce se non pagano. Ora viene da chiedersi se la Rai debba tenersi per forza Baglioni. Mancano più di tre settimane al festival, quindi secondo noi si può ancora intervenire. Gli ottimi Magalli e Bonolis potrebbero sempre subentrare al globalista di porta portese. Dal punto di vista giuridico la soluzione è data dall' inadempimento contrattuale. Lo scopo, cioè l' oggetto del contratto, è in questo caso una buona riuscita del festival della canzone italiana. Non quello di fare politica coi soldi del canone. La metà degli Italiani, cioè quelli che hanno votato le attuali forze politiche che sono al governo del Paese, pagano il canone e hanno il diritto di ascoltare dal palco dell' Ariston canzoni che richiamino l' interesse nazionale. Piacciano o no al direttore artistico. Quando Milano era sotto la dominazione austriaca, Alessandro Manzoni poteva scrivere "Marzo 1821" e ospitare in casa patrioti e carbonari. Dovevamo aspettare il politicamente corretto e il globalismo sfrenato per assaporare il gusto amaro della dittatura. Caro Baglioni, ti preferivamo con la maglietta fina e accoccolato ad ascoltare il mare, ma dalla parte di Soros proprio non ce lo aspettavamo. Lontani i tempi di «caro Gesù, Giuseppe e Maria siate la salvezza dell' anima mia...». di Paolo Becchi e Giuseppe Palma Cari professori, anche a me hanno infastidito le dichiarazioni incaute di Claudio Baglioni a proposito degli immigrati. Il cantante infatti ha espresso concetti ridicoli: apriamo pure i porti agli sfigati extra comunitari di tutte le nazionalità, perché è giusto essere accoglienti. «Io però - ha aggiunto il capo del Festival di Sanremo - non voglio stranieri sul palcoscenico». Ma che ragionamento è? Le stesse stupidaggini pronunciate dall' artista, si fa per dire, sono alla base dell' atteggiamento assunto da tutti coloro che predicano l' ospitalità da concedersi a qualunque africano. Essi sono favorevoli all' ingresso in Italia di ogni nero purché non siano obbligati a prenderselo in casa propria. In altre parole ancora più schiette: a Baglioni piace da morire dimostrarsi generoso con i forestieri a patto che costoro non gli vadano tra i piedi, ovvero nel teatro della gara canora, a rompergli i coglioni. In pratica lui, come tanti compatrioti (sempre di meno), non disdegna fare il fr*** col c*** altrui. La cosa non mi sorprende e non indigna. Il buonismo è di moda, sempre più praticato dalla gente di spettacolo. La quale ama stare dalla parte dei deboli a chiacchiere, ma non gradisce averli intorno perché disturbano, rovinano il lato estetico delle sue prestazioni e, in fondo, è meglio destinarli nei quartieri poveri delle periferie dove è più facile emarginarli affinché non scoccino i signori. Ciò premesso trovo sconveniente auspicare la rimozione, il licenziamento, di Claudio (claudicante, zoppo) solo perché pronuncia bischerate. Se dovessimo liquidare tutti coloro che si distinguono per insulsaggine, dovremmo usare il lanciafiamme o forse la bomba atomica. Lasciamo che l' autore di "Un piccolo grande amore" si abbandoni al proprio istinto di lacché senza freni né inibizioni. Esprima pure la sua mediocrità culturale e si aggreghi ai conformisti della sinistra moribonda. Egli sa quello che canta ma non quello che dice. È un ventriloquo dei progressisti nemici del progresso. Ma che vada a cantare. Il suo compito è quello di dirigere quattro menestrelli, non di organizzare un congresso politico. di Vittorio Feltri

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