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Matteo Salvini, in edicola con Libero il tagliando per dire #nessunotocchiSalvini: è già un trionfo

Giulio Bucchi
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Nessuno tocchi Salvini. Salvini siamo noi. Un' idea cartesiana, chiara e distinta: va tutelato come supremo bene della democrazia il diritto della politica a lavorare senza essere incatenata dalla casta in toga, che agisce in combinazione perfetta con i poteri forti dell' euro burocrazia e della finanza. Non abbiamo invitato a sottoscrivere nessun manifesto chilometrico, né preconfezionato un elenco di simil-pensatori o guitti per tirare i gregari. Ci sono moti della coscienza che non aspettano i tempi del marketing. Creano vibrazioni nell' aria, e non ci sono muri mediatici che riescano a bloccarle. La copertina del nostro giornale, potenziata dal passa-parola al bar, sui tram e nei social, ha così sfondato la censura di televisioni e radio. Le adesioni fioccano. Che dire? Avanti che c' è posto, la battaglia è giusta, e la compagnia della buona causa è interessante. Ci piace, e piacerà ai nostri lettori, leggere i nomi e le città di provenienza di gente che scopriamo amica; persone franche, che non si nascondono nell' anonimato, e accettano la sfida di metterci la faccia. Alcune osservazioni. 1) Perché le firme pro Salvini che, come covoni allegri, riempiono la cascina di Libero sono importanti? La prontezza della risposta al nostro appello indirizzato al presidente della Repubblica, il crescere di ora in ora di questa protesta pacifica, contengono una buona notizia che offriamo per l' analisi ai cervelloni della sociologia: si sta ricomponendo lo strappo tra istituzioni e popolo. Le adesioni che ci arrivano, e che sin da metà mattinata avevano raggiunto quota mille (oltre 3mila alle otto di sera), non sono un fatto di militanza, una batteria organizzata come certi tweet a raffica. La democrazia ritrova se stessa, il voto ritrova il suo senso pieno, quando capita che chi assume funzioni di governo si attiva sulla realtà: e le persone rispondono. La grande maggioranza degli italiani si è identificata con Salvini, quando l' ha visto mordere i problemi esponendosi alle frecce avvelenate della magistratura, la quale - nei suoi avamposti megalomani - vede come un abuso d' ufficio, un sequestro inammissibile della volontà popolare, la morte dell' antipolitica. Troppi, dotati di coda di paglia e umanitarismo di carta velina, non sopportano si saldi la frattura tra azione politica e sentimento dei cittadini. Eccoli serviti di barba e capelli. La riforma necessaria - 2) Salvini sta tenendo il punto. Sta applicando verso "il nemico" la regola della battaglia politica quando essa supera i confini della normale dialettica, e assume l' evidenza del tintinnar di manette. La espresse Sandro Pertini quando Bettino Craxi lo avvisò che c' erano forze oscure pronte a determinarne la caduta: «A un brigante un brigante e mezzo». Non c' è nulla da trattare. Esistono principi non negoziabili. Chi si fa agnello il lupo lo mangia. Nella pratica, non nelle petizioni di principio. E qui ci riferiamo a quella che Berlusconi ha chiamato la «guerra dei vent' anni» condotta da «certa magistratura» contro di lui. È un fatto che le procure sin dal 1994 hanno costruito una macchina politico-giudiziaria perfetta, assemblando la propria opera con quella dei mass media e con la complicità esplicita od omertosa del Quirinale (e della Corte costituzionale). Non solo: nel centrodestra non sono mancati alleati per finta e in realtà amici del giaguaro, pronti a piangere al funerale del povero Silvio per occuparne il posto. Talvolta, bisogna dirlo, ad Arcore ha prevalso la logica del sotterfugio legislativo, puntualmente risoltosi in retromarce. Tutto questo ha impedito qualsiasi riforma seria della giustizia. 3) La "vicinanza" a Salvini, senza se e senza ma, da parte di Silvio Berlusconi e di Giorgia Meloni è un dato umano, ma soprattutto politico. Se quella della leader di Fratelli d' Italia, che da mesi invoca il blocco navale delle coste libiche, era sicura, non scontata era la posizione del Cavaliere. In realtà non ci aspettavamo nulla di meno. Non è tattica, né solidarietà di convenienza. No, il nodo della giustizia in questo Paese è strutturale, ed è tornato alla luce in queste ore. Riguarda l' agibilità politica piena di chi vince le elezioni. Che in Italia da ventiquattro anni al centrodestra è impedita. Come dimostra la vicenda di questi giorni, che ha cercato (invano) di ferire Matteo. Alle parole di Silvio si sono aggiunte le frasi forti di Antonio Tajani: «Non si può processare una linea politica. La vicenda pone con forza il problema della riforma della giustizia, non possiamo più perdere tempo». Meglio di così non si poteva dire. E a queste parole non si può rispondere, da parte della maggioranza: non è nel contratto. Questi qua in toga il contratto te lo fanno saltare. Basta equilibrismi - 4) Lo diciamo ai Cinque Stelle. Gli equilibrismi per cui si sta un po' con Salvini un po' con Patronaggio (il procuratore di Agrigento) non funzionano più. Per cortesia applicate con azione conseguente il vostro motto "uno vale uno" almeno ai rapporti tra politici e magistrati. Oggi il magistrato Patronaggio vale 100 e Salvini 0. Il procuratore può sbagliare a man salva: nessuna sanzione se si comporta in modo assurdo, bizzarro, irrazionale. Salvini invece si trova a essere giudicato due volte: dal suo elettorato (e fin qui ci siamo); e da Patronaggio, e questo è l' offesa che denunciamo al Capo dello Stato perché si esprima. Finalino. Ci permettiamo di chiedere ai nostri lettori di farsi nostra eco con chi frequentano la stessa edicola, bottega, parrocchia, caffetteria, palestra, spiaggia, rifugio alpino. Ritagliate, fate ritagliare, spedite, scannerizzate, mandate mail a [email protected]. A Libero piace essere strumentalizzato e sventolato come bandiera di libertà. Si va al Quirinale a nome vostro. Confidiamo nella saggia sensibilità del presidente Mattarella. Avanti che c' è posto. di Renato Farina

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