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Manovra, Paolo Savona contro Giovanni Tria: nel governo lo scontro sulle cifre, le possibili conseguenze

Davide Locano
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Il testo definitivo della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, quella in cui il governo mette per iscritto che intende aumentare il debito pubblico nei prossimi tre anni, ancora non c'è, nonostante sia stata approvata il 27 settembre a palazzo Chigi. Segno che nelle teste dei ministri i numeri ancora ballano. La conferma che tutto sia in alto mare viene dal leghista Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e fautore - inascoltato - di un approccio prudente ai conti pubblici. Intervistato da Repubblica, Giorgetti assicura che in Parlamento potranno cambiare molte cose: «Se qualcosa non funzionerà, saremo pronti a intervenire anche prima della stesura definitiva della manovra e della sua approvazione. Ci è chiara l'esigenza della sostenibilità del debito, ma pensiamo che lo si possa sostenere solo se si creano più che in passato ricchezza e sviluppo». Leggi anche: Manovra, il ricatto di Di Maio a Salvini Parole mirate a rassicurare il preoccupatissimo Sergio Mattarella, dalle quali si capisce che il fronte di governo non è compatto nel ritenere blindate le decisioni prese nei giorni scorsi. Anche se nessuno lo ammette, un peso lo avranno le reazioni dei mercati oggi e nei prossimi giorni, dopo il rialzo dei tassi sui Btp e la vaporizzazione di 25 miliardi di euro nella seduta di Borsa di venerdì. Chissà se la disponibilità di Giorgetti a modificare le misure promesse è condivisa dai Cinque Stelle: difficile crederlo. CIFRE DIVERSE Non tranquillizza il fatto che i due economisti del governo sparino cifre diverse. Paolo Savona, ministro per gli Affari europei, sostiene che tutti i calcoli sono stati fatti prevedendo una crescita del 2% nel 2019 e del 2,5% nel 2020; secondo il responsabile dell'Economia Giovanni Tria, invece, l'esecutivo si attende un aumento del Pil pari all'1,6% nel prossimo anno e dell'1,7% in quello seguente. Segno, quantomeno, di una certa disorganizzazione. Non un buon biglietto da visita per Tria, che oggi, in Lussemburgo, dovrà spiegare i piani del governo davanti all'Eurogruppo, i ministri economici dell'Eurozona. Ulteriore elemento di incertezza è la clausola voluta da Tria affinché «l'obiettivo di deficit per i prossimi tre anni non sia superato», come ha detto il ministro al Sole-24 Ore. In sostanza, se l'economia andasse peggio del previsto, la spesa sarebbe tagliata per mantenere lo sforamento dei conti pubblici entro il 2,4% del Pil. Operazione che da un lato contraddice la filosofia dell'impianto annunciato l'altro giorno dal governo, secondo cui la spesa pubblica deve aumentare proprio per spingere la crescita, ed è quindi curioso che pensino di ridurla quando il Pil rallenta. E dall'altro lato appare di difficile realizzazione: come si fa a tagliare in corsa spese per le quali lo Stato si è già impegnato? Peraltro, l'introduzione di clausole di salvaguardia è vietata dalle nuove regole europee di bilancio. CACCIA AI SOLDI Alla ricerca di soldi per la costruzione e l'ammodernamento delle opere pubbliche, il governo sta studiando l'introduzione di particolari Piani individuali di risparmio (Pir). Sarebbero prodotti finanziari ricalcati sui Pir già esistenti, che consentono di investire nelle piccole e medie imprese e garantiscono la totale esenzione fiscale sui redditi da capitale. L'agevolazione sarebbe identica, ma col nuovo strumento i risparmiatori finanzierebbero gli investimenti pubblici in infrastrutture. Il viceministro all'Economia Massimo Garavaglia ha spiegato che l'obiettivo, ambizioso, è drenare in questo modo 15 miliardi di denaro privato. Che rappresenterebbero, di fatto, una nuova forma di indebitamento dello Stato nei confronti dei suoi cittadini. di Stefano Re

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