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Matteo Renzi, il piano per creare il governo M5s-Pd: la telefonata di Dario Franceschini e l'offerta indecente

Giulio Bucchi
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Le ore del complotto. Contro Matteo Renzi, ma soprattutto contro l'Italia. Per qualche giorno, spiega Renzi, sembrava tutto già scritto e calato dall'alto: l'Italia sarebbe finita in mano a un governo formato dal M5s e dal Pd. "Quando la mattina del 5 marzo mi chiamò Dario Franceschini per dirmi in modo sbrigativo che dovevo andarmene, capii che c'era una parte del Pd che fin dalla notte elettorale immaginava che noi dovessimo metterci d'accordo con i 5 Stelle". La confessione, amara, l'ex segretario dem l'ha fornita a Bruno Vespa per il suo ultimo libro Rivoluzione. Uomini e retroscena della Terza Repubblica. "C'era un'ala della vecchia sinistra democristiana che si poneva di romanizzare i barbari", è l'ironico commento di Renzi, che ammette di aver incontrato alcuni emissari grillini: "Avemmo un dialogo molto civile. Volevano un accordo che partisse da Di Maio premier. Non mettevano veti, anzi si auguravano che portassi la mia esperienza in Italia o all'estero. Manco morto, risposi, io non ci sono, noi non ci siamo". "Appena vidi che si stava stabilendo una intesa tra Martina e Fico - prosegue Renzi - mi accorsi che si era creato un sistema. La strategia era molto chiara: mettevano la pallina dell'accordo su un piano inclinato, non rendendosi conto che nella base del Pd nessuno voleva l'accordo e speravano che fosse troppo tardi per dire no. Questa scelta sarebbe stata una follia e l'ufficializzazione del bipolarismo populista: Lega contro 5 Stelle e noi a fare i portatori d'acqua. Eravamo una diga contro il populismo e questa diga è stata corrosa all'interno prima di essere distrutta da fuori. Il fuoco amico più che i 5 stelle ha sconfitto il Pd. Chi mi ha fatto la guerra sono stati i miei, sempre. Di Maio e Salvini hanno potuto muoversi in totale libertà e autonomia. Io non ho ricevuto alcun sostegno. È una cosa sconvolgente".

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