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Armando Siri, dietro le accuse spunta lo zampino degli uomini di Luigi Di Maio. L'ira di Matteo Salvini

Cristina Agostini
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Se gratti un po' la patina di atarassia con cui si è coperto ieri Matteo Salvini («Non rispondo sulle polemiche, oggi sono in modalità zen»), scopri che lui e i suoi, assai più che con i magistrati, è con i Cinque Stelle che ce l'hanno. I più pacati dicono che «se avevano dubbi su Siri, avrebbero dovuto denunciarli subito, quando la vicenda dell'emendamento saltò fuori». Altri parlano di «trappola» e «tradimento». E questo non solo per l'insistenza con cui gli alleati/rivali continuano a pretendere le dimissioni di Armando Siri da sottosegretario, sebbene ciò non sia scritto nel contratto di governo, dove l'incompatibilità è prevista solo per chi è rinviato a giudizio. A fare infuriare è soprattutto il ruolo attivo che hanno avuto gli uomini di Luigi Di Maio nell'inguaiare il salviniano promotore della "tassa piatta". Oltre al ministro dello Sviluppo economico, le invettive hanno per bersaglio due personaggi della sua cerchia, che sarebbero stati decisivi nel puntellare l' impianto accusatorio costruito dai pm contro Siri attorno alla presunta «promessa e/o dazione di 30.000 euro» da parte di Paolo Franco Arata, l'imprenditore interessato a far passare un emendamento che avrebbe favorito il suo socio Vito Nicastri, re dell'eolico. Leggi anche: "Adesso vediamo se ha le palle". Sallusti sfida Salvini sul caso Siri: provocazione estrema L' EX RENZIANO - Il primo è Vito Cozzoli, capo di gabinetto dei dicasteri che fanno capo al leader grillino. Cozzoli è un avvocato cassazionista esperto di procedimenti legislativi, che aveva svolto lo stesso incarico nel ministero dello Sviluppo economico quando era retto da Federica Guidi, cioè ai tempi del governo Renzi. Fu rimosso per volontà di Carlo Calenda, predecessore di Di Maio, il quale lo descrive come «vicinissimo all' allora giglio magico», il gruppo di potere che circondava Matteo Renzi. Tanto che - sostiene Calenda - la sua cacciata «non fu operazione politicamente facile». Ora, con il governo del cambiamento, Cozzoli è tornato. Il secondo è Davide Crippa, deputato pentastellato che Di Maio ha voluto portarsi al Mise come sottosegretario. Agli occhi dei leghisti, i "dimaiani" Cozzoli e Crippa sono i veri accusatori di Siri. Sono stati loro, assieme ad Elena Lorenzini, vice capo di gabinetto del ministero dello Sviluppo economico (pure lei proveniente dal governo Renzi, dove ebbe analogo incarico al dicastero dell' Ambiente), ad aggravare la posizione del sottosegretario durante gli interrogatori con i pubblici ministeri titolari dell' inchiesta. Di Maio e i suoi, insomma, non si sono limitati ad infierire sul salviniano quando hanno saputo che era indagato, ma hanno svolto un compito importante nell' indagine a suo carico, sostenendo davanti ai magistrati di avere subito pressioni indebite da parte sua. Va da sé che il ministro dell' Interno e i suoi ritengono una grande balla la ricostruzione secondo cui i Cinque Stelle sarebbero i guardiani della legalità che il corrotto Siri avrebbe cercato di raggirare. Perché la bocciatura, raccontano, non riguardò solo l' emendamento incriminato, ma interi pacchetti di proposte firmate da esponenti di tutti i partiti. Inclusa una, presentata proprio da Crippa, che avrebbe consentito una sanatoria per gli impianti eolici assai più ampia di quella caldeggiata da Siri. «dovere morale» Tutte cose di cui Di Maio è al corrente, ma che non paiono scalfirlo. Ieri ha chiesto di nuovo agli alleati la testa di Siri: «Cortesemente facessero il loro dovere morale e lo rimuovessero». Ha pure attaccato il ministro dell' Interno: «Puoi andare a Corleone a dire che vuoi liberare il Paese dalla mafia, ma devi evitare che la politica abbia anche solo un' ombra legata a inchieste su corruzione e mafia». In pubblico, Salvini è riuscito a rimanere «zen», ribadendo che «Siri resta dov' è, ci mancherebbe», e invitando i magistrati a sentirlo «al più presto». Giuseppe Conte in questi giorni è in Cina e potrà incontrare il sottosegretario solo lunedì. Il sogno del premier è che, per allora, il leader della Lega abbia cambiato posizione e la questione sia chiusa. Ma non è aria ed è alto il rischio che tocchi a Conte prendersi la responsabilità di rimuovere Siri, rendendo così ancora più instabile il proprio governo. di Fausto Carioti

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