I mercati emergenti stanno tornando a raccogliere il favore degli investitori, in fuga dai mercati finanziari maturi e spesso onerosi dei Paesi avanzati. A differenza di molti investitori privati, sono soprattutto gli investitori istituzionali che si rivolgono sempre più spesso a questi mercati, potenzialmente in grado di generare livelli di rendimento non più possibili nelle economie sviluppate, in particolare negli Stati Uniti e in alcune parti dell’Europa.
Le obbligazioni emergenti in particolare hanno acquistato slancio negli ultimi mesi: nel 2016 il JP Morgan Embi Global Core Index, un indice di riferimento di titoli di Stato emergenti denominati in dollari Usa, ha registrato un rendimento totale del 10,2%. "Rendimenti e spread sono superiori a quelli raggiungibili nei mercati sviluppati, quindi ci consentono di creare portafogli con rendimenti potenziali molto maggiori", sottolinea Chris Iggo, chief investment officer per il reddito fisso globale di Axa Investment Managers.
Per esempio, il rendimento sul credito emergente investment grade si attesta attualmente al 4,24%, mentre quello dell’investment grade Usa ed europeo segna rispettivamente il 3,18% e lo 0,88%. Questa prospettiva ha alimentato la domanda degli investitori e attirato potenziali emittenti nel segmento degli emerging market (nel 2016 si è registrato il ritorno sul mercato obbligazionario di diversi Paesi emergenti, come il Brasile e la Turchia, a proporre nuove emissioni). "Negli ultimi mesi siamo piuttosto positivi sui mercati emergenti come classe di attivi", afferma Iggo, "da un punto di vista tattico, questo dipende da una serie di elementi: ciclo macroeconomico, valutazioni attraenti e opportunità di diversificazione".
Per questa ultima parte del 2017, Axa Im prevede un rafforzamento nella crescita del Pil degli emerging, sostenuto dalla ripresa continua di alcuni dei maggiori Paesi colpiti dalla recessione negli ultimi anni. Questa fase fa seguito a un difficile periodo per i Paesi emergenti, dopo che la Federal Reserve statunitense annunciò nel maggio 2013 il graduale ridimensionamento del programma di stimoli monetari con il quale aveva immesso sui mercati finanziari 70 miliardi di dollari attraverso l’acquisto di obbligazioni.
Gli attivi più rischiosi, in particolare i mercati emergenti, avevano risentito maggiormente delle notizie negative. "La fibrillazione causata dal tapering aveva creato volatilità nei mercati emergenti, spingendo al rialzo i rendimenti obbligazionari e alimentando deflussi dei capitali", aggiunge Iggo, "il crollo dei prezzi delle materie prime nel 2014/15 ha amplificato la flessione, ma lo scorso anno è iniziato un recupero trainato dai Paesi produttori di commodity come Brasile, Russia, Argentina e Indonesia".
Ma l'universo dei mercati emergenti comprende un numero elevato di Paesi e settori, che emettono volumi ingenti di obbligazioni. Il mercato del debito ha un valore stimato di 1.700 miliardi di dollari, un quinto dell’intero mercato mondiale del reddito fisso denominato in dollari. "È grande, è liquido ed è molto diversificato in termini di Paesi emittenti, settori e singole società", commenta Iggo, "esistono ampi margini per individuare crediti di qualità apprezzabile".
In questo clima positivo, non bisogna sottovalutare i rischi. "Corruzione e sospetti legami tra i governi e le grandi imprese affliggono molti Paesi emergenti e non vanno trascurati", precisa Iggo. Un altro rischio rilevante riguarda la volatilità dei prezzi delle materie prime. La debolezza delle quotazioni petrolifere mette sotto pressione i mercati emergenti che sono grandi produttori di greggio come Brasile, Sudafrica e Indonesia. "Normalmente ne consegue un indebolimento delle valute di questi Paesi nei confronti del dollaro Usa, a danno della politica economica interna", afferma Iggo.
In ogni caso, "malgrado le gravi recessioni patite da alcune di queste economie, non abbiamo registrato un aumento importante delle insolvenze. Se gli investitori avessero conservato le loro posizioni negli ultimi anni, avrebbero maturato nel tempo un rendimento apprezzabile", continua Iggo, "i livelli di indebitamento sono notevolmente inferiori a quelli delle economie occidentali e il rapporto fra debito pubblico e pil è molto più contenuto, il che aiuta la stabilità finanziaria".
A livello di scelte di portafoglio, "cerchiamo Paesi gestiti in modo efficiente e con minori rischi politici”, dichiara il gestore di Axa Im, "probabilmente quindi eviteremo il Venezuela, ma potremmo investire in Colombia. In Paraguay è ipotizzabile un investimento nei titoli di Stato, ma non nel debito corporate, alla luce del quadro politico stabile del Paese e della scarsità di emittenti di qualità". In Brasile, invece, è vero il contrario. "Il rischio sovrano è eccessivo a causa degli scandali politici, ma la corporate governance è valida e molte società trainate dalle esportazioni beneficiano della debolezza dei cambi", aggiunge l'esperto. Mentre in Asia i rendimenti obbligazionari sono molto bassi e spingono Axa Im a una netta sottoesposizione verso il reddito fisso dell'area. "È una classe di attivi onerosa che genera un livello di rendimento per noi insufficiente”, sottolinea il money manager.
L'attenzione va in particolare alla Cina la cui economia cresce a ritmi sostenuti, attenuando il rischio di un brusco atterraggio del Paese, e i dati mensili sul commercio evidenziano un incremento di esportazioni e importazioni. "Nonostante i miglioramenti economici di breve termine siamo preoccupati dagli sviluppi futuri del modello di crescita economica della Cina. La sua trasformazione da modello fondato sugli investimenti di capitale e orientato all’export ad un’economia trainata dalla domanda interna richiederà tempo ed esporrà le sue industrie a un debito eccessivo", conclude Iggo.