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L'Asia rimbalza robusta dopo l'intervento di Pechino
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L'Asia rimbalza robusta dopo l'intervento di Pechino

di Elena Dal Maso
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Listini volatili, ma a fine sessione prendono a correre. Il Ministero del Commercio cinese ha detto che intraprenderà azioni estese, qualitative e quantitative, e reagirà vigorosamente

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L'Asia rimbalza a fine sessione dopo aver registrato ieri la peggiore giornata borsistica degli ultimi tre mesi. Alle ore 7:40 italiane il Nikkei sale e guadagna l'1,06%, così l'Hang Seng che cresce dell'1,28%, mentre Shanghai torna positiva dopo una giornata di forte volatilità (+0,14%). Il dollaro si rinforza dello 0,11% sullo yen (110,18) e questo aiuta il listino giapponese e sale anche sull'euro sempre dello 0,11% a 1,1576. Petrolio in guadagno dello 0,74% a 65,55 dollari il barile, mentre l'oro cede lo 0,15% a 1.276,7 dollari l'oncia.

Che cosa è accaduto nel frattempo a far girare le borse? Il Ministero del Commercio cinese ha dichiarato che se i dazi Usa partiranno veramente, Pechino "intraprenderà azioni estese, qualitative e quantitative, e reagirà vigorosamente". In merito a ciò, oggi Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr, scrive che i cinesi non sono stati messi di fatto alle corde. Sersale cita uno studio di Deutsche Bank secondo cui la bilancia commerciale è un indicatore incompleto dei rapporti di scambio tra Usa e Cina, perché non tiene conto dei beni e servizi Usa che vengono venduti sul territorio senza passare la dogana.

Per fare un esempio, General Motors ha venduto più auto in Cina che negli Usa nel 2017 (4 milioni di pezzi) ma solo 1,2 milioni risultano importati. Gli altri provengono da una joint venture sul territorio. Stesso discorso per gli smartphone: Apple ha 1/6 del mercato cinese, ma queste vendite, che fruttano 48 miliardi di ricavi alla casa di Cupertino, non figurano nel trade perché gli Iphone vengono assemblati in Cina (dove la manodopera costa meno) e gli esemplari destinati al mercato Usa e agli altri paesi risultano esportati. Quindi la bilancia commerciale bilaterale non tiene conto dei beni e servizi prodotti e venduti sul territorio cinese da sussidiarie delle aziende US, che ammontano, secondo la stima di Deutsche Bank, a 275 miliardi, sufficienti quasi a pareggiare la bilancia, cosi corretta.

In sostanza,  scrive Sersale, la Cina conserva ancora ampie possibilità di fare rappresaglie commerciali contro gli Usa "colpendo in vario modo i numerosi interessi che questi hanno sul suolo cinese. In questo senso, l'accenno a misure "quantitative e qualitative" fatto dalle autorità non deve lasciare tranquilli. E questo ancor prima di prendere in considerazione metodi estremi drastici ma densi di incognite, come la svalutazione della divisa, o la liquidazione dei treasury in portafoglio", conclude l'economista. Non a caso oggi  la Banca centrale cinese ha svalutato lo yuan dello 0,5% contro il dollaro, portandolo ai minimi da 5 mesi.
 

Orario di pubblicazione: 20/06/2018 07:43
Ultimo aggiornamento: 20/06/2018 07:58


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