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L'unica certezza sul futuro presidente è il suo rapporto con il Vaticano 
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L'unica certezza sul futuro presidente è il suo rapporto con il Vaticano 

di Silvia Valente
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La terna appena annunciata dal centro-destra (Pera, Moratti e Nordio) conferma i due assunti dell'intervista rilasciata da Piero Schiavazzi a Milano Finanza: la centralità della relazione con la Santa Sede e la predilezione della Chiesa per i laici

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Ad oggi nessuno dei nomi più probabili per la Presidenza della Repubblica italiana è "distante, indifferente o ostile alla Chiesa", anche la terna di nomi da poco proposta dal centro destra, quasi come fosse un prerequisito imprescindibile anche per un semplice candidato un "rapporto preferenziale con il Vaticano, seppur in diverse gradazioni". Ecco la "fortuna da Vaticanista" del professor Piero Schiavazzi: poter dare questo dato “certo e inoppugnabile” in un momento dominato dall'incertezza e dall'aleatorietà.

La centralità del magnetismo tra i due Colli romani non è certo una novità ma un asse costante della politica italiana, che fa ancora più rumore considerato il momento di debolezza che la Chiesa sta vivendo. I vari report sulla pedofilia, fino al più recente di Monaco, continuano a screditare l'istituzione stessa della Chiesa. La Cei di Bergoglio è momentaneamente debole in quanto sta “cambiando pelle” sia con un nuovo quadro dirigenziale sia con un orientamento geopolitico più progressista e indirizzato al Sud Est. Per di più, da 20 anni non esiste più un vero e proprio partito cattolico, ha aggiunto il docente di geopolitica vaticana a MF-Milano Finanza.

La Chiesa non ha più dunque la forza di influenzare direttamente le elezioni, "come in altri momenti, sponsorizzando specifici candidati", tanto che si può arrivare a diventare Presidente della Repubblica senza il consenso d'Oltretevere ma governare "ignorando il gigante geopolitico resta impossibile".

Se la Santa Sede ha, infatti, rappresentato spesso un vincolo per la politica interna italiana, soprattutto nel perseguimento dei diritti civili, sul piano estero è stato "uno svincolo, una rampa di accesso alla mondialità per in nostro Paese, tradizionalmente in equilibrio sul filo del declassamento a provincia". Addirittura, secondo Schiavazzi, senza la visibilità dell'impero universale della Chiesa, che ha la sua sede a Roma, la capitale italiana non sarebbe "più una tappa obbligata per i leader stranieri in Italia ma un optional". Si può dire, con una metafora economica, che "l'export garantito all'Italia dal Vaticano è nettamente maggiore dell'import".

La suddetta norma "fortissima ma non scritta" che i candidati al Quirinale debbano avere nel cv un legame con la Chiesa rende già tutti gli attuali nomi in corsa al Colle graditi al Vaticano, come spesso confermato dai prelati, con dichiarazioni però spesso erroneamente tradotte in mancanza di volontà di sbilanciarsi.

Ma qualli ulteriori caratteristiche il candidato ideale dovrebbe possedere per la Santa Sede? Innanzitutto, Schiavazzi parla di un aspirante Presidente che riconosca al Papa il suo ruolo di capo di un impero di fedeli ad estensione universale, non accusandolo di ideologia o valutandolo sulla base della funzionalità (o meno) agli interessi esclusivamente italiani. Servirebbe quindi un nome di caratura internazionale, che riesca così a rendere "l'Italia aperta e consapevole ai problemi del mondo", non chiudendola nel mero nazionalismo, e nondimeno a limitare "le continue ingerenze sulla sovranità italiana: dal Patto di stabilità all'euro, passando per la Nato". La Santa Sede auspicherebbe, inoltre, una personalità di mediazione, di centro, che corregga il duplice strappo avvenuto durante questa legislatura con le forze politiche italiane, con la “destra populista sulla questione dei migranti” e con la sinistra riguardo al ddl Zan. Per giunta, “il laico è bello al Quirinale” per il Vaticano, perché storicamente riesce ad ottenervi di più che dai credenti, che “devono come farsi perdonare la propria fede dall'opinione pubblica”.

I nomi appena proposti per la presidenza della Repubblica italiana dal centro-destra avvalorano i due assunti dell'articolo, da un lato la centralità del Vaticano, dall'altro, l’ossimorica predilezione della Santa Sede per la laicità dei candidati. Nello specifico, tutti e tre i nomi della rosa sono persone “diversissime” tra loro ma accomunate proprio dalla rispettiva vicinanza al Vaticano, ha evidenziato Schiavazzi. Se Letizia Moratti è “cattolicissima e ha dedicato una vita alla comunità di San Patrignano”, i due uomini incarnano perfettamente il “laico è bello”. Marcello Pera è un laico devoto, ovvero “un non credente che però si riconosce nella dottrina sociale cattolica”, oltre ad essere un amico intimo di Ratzinger. Carlo Nordio, invece, pur avendo dichiarato che “il cattolicesimo è responsabile di molti vizi nazionali italiani”, in due diversi editoriali ha esaltato “la mobilità sociale delle istituzioni vaticane, dove gli ultimi possono diventare primi”, e si è schierato contro il ddl Zan, difendendo la “libertà religiosa come quella che regge tutte le altre”. (riproduzione riservata)

Orario di pubblicazione: 25/01/2022 17:29
Ultimo aggiornamento: 25/01/2022 17:40


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