Wall Street in recupero nonostante i dati di Cina ed Europa

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Wall Street ha aperto in netto calo dopo la pubblicazione dei deludenti dati cinesi ed europei che hanno incrementato i timori di un rallentamento economico globale, anche se poi in corso di seduta è in atto un tentativo di recupero, grazie alla spinta del petrolio. A gravare sugli indici sono anche le persistenti preoccupazioni sul commercio internazionale che ostacolano la propensione al rischio. Ora il Dow Jones è in calo dello 0,59%, l'S&P 500 lo  0,96% e il Nasdaq Compsite lo 0,44%.

Il Dow ha chiuso il 2018 in calo del 5,6%, l'S&P 500 del 6,2% mentre il Nasdaq ha registrato una perdita del 3,9%. Per la prima volta dal 1978, il Dow ha registrato una perdita annua dopo aver guadagnato terreno per i primi tre quarti dell'anno. Per l'S&P è invece la prima volta dal 1948 e per il Nasdaq dal 1987.

Gli investitori hanno inaugurato il nuovo anno con nuovi timori riguardanti la Cina, seconda economia mondiale, che hanno avviato una fuga dagli asset considerati più rischiosi. La lettura del Pmi manifatturiero ufficiale cinese per dicembre ha evidenziato infatti un calo più pesante di quello precedente, toccando il minimo da febbraio 2016. L'indice Caixin, che sotto quota 50 indica una contrazione, è sceso a 49,7, sui minimi dal 2017. Questi dati arrivano in un momento di crescenti preoccupazioni per un rallentamento globale che potrebbe influenzare la performance economica degli Stati Uniti.

L'attenzione degli investitori si rivolge anche alla disputa tariffaria tra Pechino e Washington che, secondo gli esperti, potrebbe aggravare il processo di rallentamento dell'espansione economica di entrambe le superpotenze. Anche se va fatto notare che incidere sul sentiment di mercato vi è il dato del Pmi manifatturiero americano relativo al mese di dicembre che è sceso a 53,8 punti dai 53,9 della stima e, soprattutto, dai 55,3 punti di novembre, toccando così i minimi degli ultimi 15 mesi, mentre la fiducia dei gruppi del settore calata ai livello dell'ottobre di tre anni fa. 

Nello specifico, nel 2019 la crescita economica americana dovrebbe scendere ad un livello appena superiore al 2%, rispetto all'attuale livello superiore al 3%, sostiene Bob Michele, cio e head of fixed income di JpMorgan Asset Management, sottolineando però come "i segnali del mercato suggeriscono il timore di una imminente recessione", data la correzione del 15-20% degli indici azionari, gli spread di credito in allargamento, l'appiattimento della curva dei tassi e il rally dei Treasury. Tuttavia, "un'adeguata risposta da parte dell'autorità monetaria dovrebbe funzionare da cuscinetto e assicurare un atterraggio morbido all'economia", allontanando lo spettro della recessione, prevede Michele. L'esperto prevede due rialzi dei tassi da parte della Fed nel 2019.

"Non siamo ancora preoccupati che possa verificarsi una recessione", sottolineano gli esperti. "A nostro avviso, è necessario un rallentamento della crescita economica per far atterrare l'aereo e i due fattori di rischio storici, ovvero il surriscaldamento dell'inflazione e le bolle del mercato degli asset, rimangono largamente assenti", proseguono gli esperti. Goldman Sachs stima inoltre che gli Stati Uniti imporranno ulteriori dazi sulle importazioni dalla Cina dopo la fine della tregua, il 2 marzo.

Inoltre, il mercato sta monitorando il parziale shutdown del Governo americano, con il presidente Donald Trump che ha invitato i parlamentari a discutere oggi dei finanziamenti per il muro al confine tra Stati Uniti e Messico. "Il sentiment sugli asset di rischio è rimasto alto durante l'ultimo giorno dell'anno a causa delle osservazioni di Trump, ma i mercati hanno iniziato il 2019 sulla difensiva dopo che il Pmi manifatturiero cinese è scivolato in territorio di contrazione a dicembre, riaccendendo i timori su un possibile rallentamento economico di Pechino", afferma Charalambos Pissouros, senior market analyst di Jfd Brokers.

In controtendenza è l'andamento del petrolio: l'oro nero nel corso della giornata non solo annullato cali dell'1,8% ma è arrivato a guadagnare il 2,18% a 46,40 dollari al barile. 

Sul valutario, il cambio euro-dollaro viaggia a a 1,1366, mentre sull'obbligazionario il rendimento del Treasury biennale è al 2,48% e quello del decennale al 2,655%.