La sofferenza e il ricordo di sé

La sofferenza e il ricordo di sé

Senza il ricordo di sé la sofferenza è inutile perché qui non stiamo cercando di soffrire, ma di trasformare la sofferenza.

Abbiamo un atteggiamento sbagliato verso la sofferenza. Pensiamo sia inutile e non sappiamo come usarla propriamente. Quando le situazioni sono difficili diventiamo negativi, ma per trasformare la sofferenza dobbiamo ricordare noi stessi. Le nostre macchine pensano che le parole dissolvano la sofferenza, ma non esistono parole che possano alleviare certi tipi di attrito.

Solo l’accettazione può minimizzare la sofferenza profonda. La sofferenza non necessaria è il prodotto di una mente pigra; è molto più facile soffrire inutilmente che ricordare sé stessi. Non c’è motivo che alcuni studenti ricevano dei veri e propri shock, poiché non saprebbero distinguere la grande sofferenza da quella piccola. Non saprebbero come separarsi da uno shock intenso. Questo perché le nostre macchine hanno la tendenza a ingigantire ed esagerare la nostra sofferenza. Col passare dei mesi e degli anni, si realizza finalmente che la nostra più grande sofferenza è, ironicamente, quella non necessaria. Siamo soggetti a soffrire inutilmente perché è difficile ricordare sé stessi. Creando agitazioni e problemi immaginari, si finisce per prendere seriamente molti eventi che non giustificano in nessun modo quel livello di preoccupazione. Shakespeare scrisse: “Ride delle cicatrici chi non ha mai provato una ferita”. Se un uomo lascia andare la propria sofferenza inutile si rende conto che i propri obbiettivi sono vuoti e che egli non esiste. Bisogna riempire questo vuoto con il ricordo di sé.

La sofferenza inutile è causa di gran parte dell’infelicità umana. Paura e risentimento possono protrarre per ore uno o due minuti di sofferenza. Spesso quello che si frappone tra voi è il ricordo di sé è la sofferenza inutile. Dovete sviluppare l’atteggiamento di opporvi alla paura con il ricordo di sé. Il senso di allarme che comincia a diffondersi dentro di voi quando non riuscite a ricordare voi stessi è proprio materiale per ricordare voi stessi. Il dolore vero, sopportato con dignità e silenzio, non è un’emozione negativa. Gurdjieff disse che per svegliarsi bisogna utilizzare la sofferenza volontaria. Un espediente che ho usato per molti anni è quello di tenere i piedi uniti e appoggiati per terra sotto la tavola. Non li incrocio né li rovescio da un lato all’altro. Trovarli fuori posto è per me un segnale di ritornare al presente.

La sofferenza volontaria dovrebbe essere invisibile, gli altri non dovrebbero accorgersene. Potete provare a non bere tè o caffè per una settimana, a non mangiare verdura o carne: continuate a irritare la macchina. La vostra anima è la perla di gran valore e, come tutte le perle, deve essere creata attraverso la trasformazione dello sfregamento. Quando guidate la macchina da soli, sedetevi spostati un po’ a destra o a sinistra, oppure col sedile lontani, o anche su una cassetta. Ascoltate un programma che non vi piace; ascoltatelo ad alto volume. Non mettetevi in condizione di sconfiggere la vostra volontà, servitevi della sofferenza volontaria per quindici minuti e poi trovate qualcos’altro da fare. La via d’uscita c’è, ma per trovarla dovete essere creativi.

Robert Earl Burton

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