In Libano la politica sembra essersi dimenticata dei giovani, del concetto stesso di “giovane”, si potrebbe dire. Ma la nuova generazione di libanesi è stufa, guarda il mondo attraverso i social network, spesso viaggia e decide di formarsi all’estero, quando può, ed è sempre più consapevole di avere il diritto (e il potere) di cambiare la realtà. I giovani cominciano a capire che un giorno le vecchie sovrastrutture, i sempre noti volti della politica e delle alte rappresentanze del Paese lasceranno un vuoto, e sarà loro compito colmarlo. 

Un gruppo di ragazzi ha deciso che è arrivato il momento di far sentire la propria voce. Hanno tra i 14 e i 18 anni e vengono da ogni angolo del Paese, sono libanesi e anche siriani e palestinesi, ma per loro non è importante. Hanno scelto di prendere parte a un progetto finanziato dall’UNDEF (il fondo per la democrazia delle Nazioni Unite), e stanno diventando il simbolo di una società in fermento.

L’avventura è iniziata con passi incerti, con pregiudizi pesanti a gravare sulle loro spalle. Si sono sottoposti a un’intensa attività di training, hanno imparato cosa significa essere solamente cittadini, prima di ogni altra identificazione. Hanno trovato il coraggio di coinvolgere e intervistare altri giovani come loro, sono andati nelle scuole per individuare i problemi più sentiti dai ragazzi della comunità locale. Gradualmente, il progetto è diventato loro.

Provengono da ognuno degli otto governorati del Libano e sono il simbolo di una società variegata e multiculturale, sono loro stessi il racconto di una realtà in cui cristiani, mussulmani, sciiti e sunniti, drusi si trovano a condividere lo stesso pezzetto di terra, lo stesso ufficio, la stessa scuola. Ma a differenza di quanto, troppo spesso, accade nella realtà “adulta” del Paese, questo gruppo di ragazzi ha, un passo alla volta, scelto di cestinare tutte quelle credenze che le famiglie hanno imposto loro fin dalla nascita. Centimetro dopo centimetro hanno spinto le proprie barriere mentali e trasformato le frizioni sociali in cooperazione.

I ragazzi della Generazione Z hanno creato un Parlamento per mostrare agli adulti che è possibile superare gli steccati ideologici e religiosi.

Ceto e status sociale, nazionalità, genere e religione hanno perso valore e, insieme, si sono rimboccati le maniche. Da periodici confronti tra le ONG locali che si occupano di implementare il progetto, IDEA (International Development and Empowerment Association) e PPM (Permanent Peace Movement), e i ragazzi, è emersa la necessità di andare oltre. Da qui è nata l’idea di creare un Consiglio Nazionale dei Giovani, il Parlamento, e poi un Governo, eletti tramite votazione e seguendo lo schema istituzionale libanese. I candidati si sono fronteggiati in accese campagne elettorali, urlando al mondo la necessità di essere, per una volta, ascoltati.

I risultati delle elezioni hanno portato al ballottaggio tra il candidato di Ras Baalbeck, Georgio, e la candidata di Mount Lebanon, Sara. I ragazzi hanno scelto di nominarli entrambi a capo del Parlamento, schiaffo morale verso una società machista in cui le donne sono ancora troppo spesso relegate al ruolo di madri e mogli. Adesso si guarda ancora più avanti, i ragazzi vogliono confrontarsi con ministri e figure pubbliche, convincere tutti che questo progetto merita di essere istituzionalizzato e ampliato affinché sempre più giovani possano essere coinvolti.

Sono un centinaio di ragazzi, ma hanno coraggio da vendere e una incontenibile voglia di sentirsi cittadini del mondo, e loro come tanti altri rappresentano più che mai uno strappo generazionale evidente a chiunque trascorra del tempo in Libano. Loro sono la ribellione, sono la lotta quotidiana contro genitori che non capiscono e che vorrebbero imporre loro le stesse regole che hanno subito loro in passato, ma che i giovani della generazione Z non sono più disposti a tollerare.

Sono il simbolo di un’onda generazionale che vuole aprirsi all’uguaglianza di genere, ai diritti LGBT, al diritto dei bambini di essere tali. Una generazione stanca delle armi e della corruzione, che vuole riprendersi quella politica in cui aveva smesso di credere. Una generazione che, in un Paese che attualmente ospita circa un milione e mezzo di rifugiati, crede che i diritti debbano essere di tutti.

Un’emittente televisiva locale ha chiesto a Sara come sia possibile che un gruppo di ragazzi sia riuscito ad eleggere democraticamente un Parlamento (che a sua volta ha nominato, come da procedura, un Governo dei Giovani), mentre il Parlamento libanese non è stato in grado di fare lo stesso (il 6 maggio 2018 si sono tenute le prime elezioni nazionali dal 2009, ma il governo non è stato nominato prima di febbraio 2019 a causa di delicate frizioni interne). Sara, un accenno di sfida negli occhi, ha risposto senza esitare: «Perché noi, a differenza vostra, non siamo settari».
i ragazzi libanesi (e siriani e palestinesi) hanno lanciato una sfida e pensano che nulla e nessuno li fermerà.